Il giardino di Archimede
 Il giardino di Archimede
 Un museo per la matematica
Un ponte sul Mediterraneo
Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente
 

 
 
 

Matematica e commercio nel Liber Abaci.

Enrico Giusti

1. Fibonacci e la sua opera.

Per chi si accinge a parlare di un'opera capitale nella storia del pensiero umano, e il Liber Abaci di Leonardo Pisano è tra queste, la strada maestra consiste nel confrontarla con le conoscenze dell'epoca e con le opere che la precedono, per coglierne i caratteri di novità e metterne in risalto, esaminandola in controluce contro il panorama della scienza contemporanea, il suo contributo al progresso della disciplina in cui si inserisce.

Questa strada è preclusa nel nostro caso. Quando il Liber Abaci vide la luce, ottocento anni or sono, la matematica nell'Occidente cristiano era praticamente inesistente: se si eccettuano le traduzioni dall'arabo che alla fine del XII secolo un gruppo di studiosi andava conducendo nella Spagna musulmana, traduzioni che riguardavano soprattutto i grandi classici èEuclide in primo luogoè dell'antichità greca, ben poco circolava in Europa all'inizio del Duecento. Soprattutto ben poco di comparabile per mole e per profondità a quanto Leonardo Fibonacci avrebbe reso pubblico nel 1202.

Né soccorrono meglio le opere arabe, certo testimoni di una cultura scientifica di tutt'altra consistenza e dalle quali Leonardo per sua stessa ammissione aveva attinto la maggior parte delle sue conoscenze. Ma anche rispetto ai suoi maestri, Fibonacci compie un'opera unica se non per originalità certo per mole: ben pochi trattati d'abaco arabi ci sono pervenuti che possano stare alla pari con quello scritto dal Pisano al termine delle sue peregrinazioni.

Siamo dunque di fronte a un'opera che non ha antecedenti in Europa, e che sfida le sue stesse fonti arabe; un'opera che non ha padri. Naturalmente, non mancano le filiazioni da opere precedenti, e anzi in alcuni tratti il Liber Abaci mostra evidenti le tracce di autori arabi, da al-Khwârizmî ad Abû Kâmil; ma è altrettanto evidente che l'opera di Leonardo deriva non da un autore o da una scuola, ma semmai dalla matematica araba nel suo complesso, e che Fibonacci integra in essa tutte le conoscenze acquisite durante il suo apprendistato a Bugia prima, e poi nel corso dei suoi viaggi in tutto il mondo conosciuto.

Verremo tra breve alla descrizione, sommaria per forza di cose ma non superficiale, del Liber Abaci. Prima di entrare nel campo più propriamente matematico, varrà la pena di riassumere in breve quanto è noto, poco in verità, della vita del nostro autore [1] .

Non c'è nessun documento che attesti la data di nascita di Leonardo. Sappiamo solo che in giovanissima età è"in pueritia mea" scrive nel Liber Abaciè aveva accompagnato a Bugia il padre Guglielmo [2] , che nella dogana della città maghrebina svolgeva le funzioni di "publicus scriba pro Pisanis mercatoribus", ossia di notaio che curava l'assistenza ai mercanti e forse aveva anche incarichi di rappresentanza. Qui il giovane Leonardo apprese la matematica dell'abaco, forse non più dei primi rudimenti se si deve prestar fede al suo proprio racconto, dove dice essere stato a scuola d'abaco "per aliquot dies", alla   lettera: per alcuni giorni. Ma una volta familiarizzatosi con le tecniche dei numeri arabi, non cesserà più di accumulare conoscenze, impadronendosi di quanto si sapeva nei luoghi in cui lo portava la sua attività, o forse più probabilmente il suo desiderio di viaggi e di conoscenze: in Egitto, in Siria, in Grecia, in Sicilia, in Provenza; in breve, in tutto il mediterraneo.

Il risultato di questi viaggi e di questi studi sarà nel 1202 la pubblicazione del Liber Abaci, seguito ad alcuni anni di distanza dalla Practica geometriae (1220), e da alcune altre opere minori per mole, ma non per contenuti: il Liber quadratorum, il Flos, ambedue pubblicati nel 1225, e l'Epistola ad magistrum Theodorum, di data incerta, ma anch'essa composta intorno a quegli anni. Altri scritti, tra cui un Trattato di minor guisa, forse una versione ridotta e semplificata del Liber Abaci, e un Commento sul X   libro di Euclide, sono andate perduti.  

 

La data di pubblicazione del Liber Abaci, insieme ad altre considerazioni di minor peso sulla situazione politica ed economica del Mediterraneo occidentale, hanno suggerito di fissare la nascita di Leonardo intorno al 1270, e con molto maggiore probabilità nel decennio tra questa data e il 1280. Di certo, egli era ancora attivo nel 1241, quando il Comune di Pisa delibera di assegnargli un salario annuo di 20 lire per i servizi resi fino ad allora al Comune e ai suoi ufficiali nelle materie d'abaco [3] , e per quelli che avrebbe reso nel futuro. Questo documento relativamente tardo consiglierebbe di spostare la data di nascita più verso il 1180.

Anche documentati da passi delle sue opere sono i rapporti di Fibonacci con la corte imperiale di Federico II di Svevia, che il nostro incontrò nel luglio del 1226, quando Federico si soffermò per qualche tempo a Pisa. La circostanza è ricordata da Leonardo all'inizio del Liber quadratorum, dove rivolgendosi allo stesso Federico, Fibonacci ricorda come in questa occasione gli venne proposto un problema dal quale ebbe poi origine l'opera:

Quando a Pisa il maestro Domenico mi portò per presentarmi ai piedi della vostra maestà, gloriosissimo principe e signore Federico, il maestro Giovanni di Palermo lì presente mi propose il problema seguente, non meno attinente alla geometria che al numero [4] .

Fibonacci conservò sempre delle relazioni strette con l'entourage di Federico II, stando almeno alle dediche delle sue opere, per lo più indirizzate a personaggi importanti della corte sveva. Oltre a Giovanni da Palermo, notaio di corte, e a Maestro Domenico, di cui non si hanno notizie certe e che da alcuni è stato identificato in un certo Domenico Hispano, a cui è dedicata la Practica geometriae, sono da ricordare il filosofo imperiale Michele Scoto, a cui Fibonacci dedicherà nel 1228 la seconda edizione del Liber Abaci, come pure il Maestro Teodoro a cui è indirizzata l'Epistola di cui abbiamo detto sopra.

Fin qui le scarne notizie biografiche che ci sono pervenute. Più corposa è invece, come abbiamo osservato, è la mole delle opere di Fibonacci giunte fino ai nostri giorni. Tra queste, un posto di assoluta preminenza è ricoperto dal Liber Abaci, di cui ora ci occuperemo.


2. Struttura e forma del Liber Abaci.

Nel panorama della cultura matematica europea, che solo da poco aveva cominciato ad avvicinarsi alle grandi opere del passato, peraltro erano accessibili a un numero limitatissimo di studiosi, e che tutto si potevano considerare meno che acquisite, sarebbe stato un passo importante la sola introduzione delle cifre indo-arabe e del calcolo relativo. Fibonacci ci consegna invece una summa del sapere aritmetico e algebrico del mondo arabo, probabilmente molto di più ampia di quanto le conoscenze dell'epoca potessero apprezzare; ci vorrà almeno un secolo prima che le opere di Fibonacci potessero dirsi pienamente comprese.

D'altra parte la stessa mole del volume parla di per sé: nell'edizione di Boncompagni [5] , la sola edizione a stampa che abbiamo a tutt'oggi, se si eccettuano alcuni stralci pubblicati dal Libri nella sua Histoire [6] ,   il Liber Abaci prende 459 pagine in quarto, per di più stampate nei caratteri minuti della tipografia ottocentesca [7] . Un esame sommario del contenuto non può che confermare le caratteristiche enciclopediche dell'opera, che si compone di un Prologo e di 15 capitoli:

1.     La conoscenza delle nove cifre indiane, e come con esse si scrivano tutti i numeri; quali numeri si possano tenere nelle mani, e come, e l'introduzione all'abaco.

2.     La moltiplicazione degli interi.

3.     L'addizione degli stessi.

4.     La sottrazione dei numeri minori dai maggiori.

5.         La divisione di numeri interi per numeri interi.

6.         La moltiplicazione degli interi con le frazioni, e delle frazioni senza interi.

7.     La somma, la sottrazione e la divisione degli interi con le frazioni e la riduzione delle parti di numeri in parti singole.  

8.     L'acquisto e la vendita delle merci e simili.

9.     I baratti delle merci, l'acquisto delle monete, e alcune regole simili.

10.    Le società fatte tra consoci.

11.    La fusione delle monete e le regole relative.

12.    La soluzione di questioni diverse, dette miscellanee.

13.    La regola della doppia falsa posizione, e come con essa si risolvano pressoché tutte le questioni miscellanee.

14.    Il calcolo delle radici quadrate e cubiche per moltiplicazione e divisione o da estrazione, e il trattato dei binomi e recisi e delle loro radici.  

15.    Le regole delle proporzioni geometriche; e le questioni di algebra e almucabala [8] .

Fin dalla distribuzione delle materie si può individuare uno dei tratti caratteristici dell'opera: la sistematicità e l'ordine.

Il trattato si divide naturalmente in quattro parti. La prima dà i fondamenti dell'aritmetica: Leonardo introduce le cifre indo-arabe e la numerazione posizionale, e insegna gli algoritmi delle operazioni con i numeri interi e con le frazioni. Questa prima parte, che prende i primi sette capitoli, è sviluppata senza alcun riferimento a problemi reali o applicazioni di qualsiasi tipo, ma viene svolta in modo formale e illustrata con una serie di esempi via via più complessi, in modo che il lettore venga introdotto gradualmente ai nuovi numeri e alle operazioni relative.

Seguono poi quattro capitoli di matematica mercantile, nei quali vengono affrontati in tutti i loro risvolti i problemi che potevano intervenire nell'esercizio della mercatura: acquisti e vendite, baratti, società, e monete. Qui il lettore che grazie a quanto ha appreso nei capitoli precedenti si è familiarizzato con le operazioni aritmetiche, può metterle alla prova in problemi del suo operare quotidiano, e convincersi così della semplicità del nuovo algoritmo e della sua superiorità rispetto ai più familiari numeri romani.  

Ma non di solo commercio vive l'uomo. Il capitolo che segue, di gran lunga il più ampio dell'opera, riguarda una serie di problemi di vario tipo, molti dei quali si riferiscono a situazioni prive di utilità pratica, e tutto sommato artificiali: vengono trovate borse di monete di cui si chiede il contenuto, vengono acquistati cavalli di cui non si conosce il prezzo, vengono osservati conigli che si moltiplicano senza limite, e che daranno luogo ai famosi "numeri di Fibonacci". Accanto a questi e altri problemi di "matematica divertente", troviamo anche alcuni risultati più complessi, come la somma di una progressione aritmetica, e il metodo della falsa posizione, che prelude alla parte finale dell'opera, nella quale si ritorna alla matematica più avanzata.

Il tredicesimo capitolo è dedicato per intero al metodo della doppia falsa posizione, una delle tecniche più potenti dell'aritmetica araba e medievale. Fibonacci ha occasione di dimostrare qui la sua maestria nel trattare i problemi più complessi, che richiedono ripetute applicazioni del metodo.

Infine, nei due ultimi capitoli si passa a questioni sempre più astratte, che comprendono l'estrazione di radici quadrate e cubiche, un trattatello dei binomi e recisi che sarebbe poi stato sviluppato nel commento perduto al decimo libro di Euclide, e nel capitolo finale la teoria delle proporzioni geometriche e l'algebra.


3. I numeri arabi e le operazioni aritmetiche.

Dopo un proemio che contiene la dedica e alcune brevi notizie biografiche, il primo capitolo introduce le cifre indo-arabe e la numerazione posizionale, comparandola con quella in numeri romani. Affinché il lettore possa apprezzare appieno la potenza del sistema di notazioni proposto, vengono dati esempi di scrittura e lettura di numeri anche molto grandi, per i quali la notazione romana mostra i suoi evidenti limiti. Da notare che per Leonardo le prime cifre di un numero sono quelle a destra, e le ultime quelle a sinistra, forse un residuo dell'uso arabo di scrivere da destra verso sinistra. Così ad esempio ci dice che "se si vuol moltiplicare 5000 per 7000 si moltiplicherà 5 per 7, che fa 35, davanti al quale si porranno tanti zeri quanti ce n'erano nei due numeri, cioè sei" [9] .   Lo stesso avverrà più tardi con le frazioni.

Infine viene descritta una tecnica piuttosto complessa di rappresentazione dei numeri con le mani, e precisamente le unità e le decine, cioè i numeri da 1 a 99, con la mano sinistra, e le centinaia e le migliaia, ossia quelli da 100 a 9900, con la destra, in modo che usando ambedue le mani si possano registrare numeri fino a 9999. Un'illustrazione di tale tecnica, che mostrerà tutta la sua utilità quando occorra eseguire operazioni senza scrivere o scrivendo il meno possibile, si trova in numerosi trattati medievali di aritmetica, tra gli altri nella Summa di Luca Pacioli [10] . Si tratta di una pratica largamente diffusa, al punto che le centinaia vengono chiamate anche "il numero della mano destra", ad esempio nelle Regoluzze di Paolo dell'Abaco [11] , che per tramutare soldi in lire dice:

Se vuoli recare li soldi a lire, multiplica il numero della mano ritta per 5,

ovvero, essendo una lira venti soldi, moltiplica per 5 le centinaia di soldi.

In particolare, la possibilità di registrare numeri anche grandi e di tenerli in memoria mentre si eseguono altre operazioni è essenziale nella moltiplicazione tra numeri interi, che è trattata ampiamente nelle sette parti in cui si divide il secondo capitolo. Le prime cinque trattano di diversi casi di moltiplicazione, a seconda del numero di cifre dei numeri da moltiplicare. Più precisamente, la prima parte tratta del prodotto di due numeri di due cifre, e di un numero arbitrario per uno di una cifra; la seconda di due numeri di tre cifre o di uno di tre per uno di due; la terza di un numero di 4 cifre per uno di 2, di 3, o di 4; la quarta di due numeri di cinque cifre; e infine la quinta di due numeri arbitrari. Le due parti che seguono sono dedicate alla moltiplicazione non scritta, ma eseguita per mezzo delle mani, limitatamente ai casi più semplici; la sesta parte corrisponde al prodotto di numeri di due cifre, la settima a quello di numeri di tre cifre.

La ragione per questa scala ascendente di difficoltà sta principalmente nel fatto che nella moltiplicazione non scritta il prodotto viene eseguito in un certo senso globalmente, e non moltiplicando singolarmente le singole cifre del secondo numero per il primo. Ad esempio, se si vuole moltiplicare 123 per 456 si procederà in questo modo:

1.   Si moltiplica 3 per 6, che fa 18; si tiene a mente 1 e si registrano 8 unità nelle mani.

2.   Si moltiplica 3 per 5, che fa 15, a cui si aggiunge l'1 tenuto a mente e il prodotto di 2 per 6, cioè 12; della loro somma 28 si registrano 8 decine nelle mani e si ricorda 2.

3.   Si moltiplica 3 per 4, che fa 12, più 2, 14, più 2 per 5, 24, più 1 per 6, 30. Non si registrano centinaia nelle mani, e si ricorda 3.

4.   Si moltiplica 2 per 4, che fa 8, più 3, 11, più 1 per 5, 16. Si registra il 6 nelle migliaia, e si ricorda 1.

5.   Si moltiplica 1 per 4 e si aggiunge 1; il risultato 5 va nelle decine di migliaia, e in definitiva il prodotto è 56088.

È chiaro che i calcoli diventano molto complessi all'aumentare del numero delle cifre; ad esempio nei numeri di 5 cifre, abcde×ABCDE, la cifra delle decine di migliaia proviene dai prodotti aE+bD+cC+dB+eA, a cui si deve aggiungere il riporto. Inoltre, quando le cifre dei fattori sono più di tre, le mani non sono più sufficienti per tenere conto dei risultati parziali. Di qui la limitazione delle operazioni manuali ai primi due casi; quando i numeri da moltiplicare sono più grandi bisognerà tener conto delle cifre successive in altro modo, ad esempio scrivendole, nel qual caso la mani possono essere utilizzate per registrare i prodotti parziali.

La prova della moltiplicazione si fa poi mediante la regola del nove (pensa per novenarium), ma anche con quella del sette o dell'11.

Poco più avanti, dopo aver discusso la somma di due o più numeri, viene introdotto un metodo di moltiplicazione più vicino a quello moderno: la moltiplicazione "a scacchiera". Questa consiste nel moltiplicare il primo numero successivamente per le varie cifre del secondo a cominciare da quella delle unità, sommando poi opportunamente i numeri ottenuti. Ad esempio volendo moltiplicare 4321 per 567 si moltiplica successivamente 7, 6 e 5 per 4321, ottenendo lo schema che segue:


Si eseguono infine le somme diagonalmente, sommando cioè 7, 4+6, 2+2+5, ecc, per ottenere il risultato 2450007.

La somma di due o più numeri interi è l'argomento del terzo capitolo. Qui l'unico problema dipende dal fatto che in genere il sistema di multipli e sottomultipli non è mai decimale. Ad esempio, le lire non si dividono in decimi, centesimi, ecc., ma una lira si divide in 20 soldi, e un soldo in 12 denari. Lo stesso si può dire per i pesi, per le lunghezze, e in generale per ogni tipo di misura. Di conseguenza, quando si deve fare la somma di varie quantità di moneta, occorrerà sommare separatamente i denari, i soldi e le lire, riducendo poi le eccedenze. Ad esempio, si debbano sommare 4 £. 8 s. 6 d. con 3 £. 13 s. 4 d. e con 2 £. 11 s. 7 d. Si comincerà allora col sommare i denari: 6+4+7=17, cioè 1 s. 5 d. Si passa quindi ai soldi: 8+13+11=32, a cui si aggiunge 1 soldo proveniente dalla somma dei denari, e dunque si hanno 33 soldi, cioè 1 lira e 13 soldi. Infine le lire danno 4+3+2+1=10, e quindi la somma è 10 £. 13 s. 5 d.

Dopo un   altro capitolo in cui viene spiegata la sottrazione tra interi, viene affrontata la divisione. È qui che sorgono i problemi più interessanti, perché, anche se per il momento vengono considerate solo divisioni tra numeri interi, la divisione costringe a uscire dall'ambito di questi ultimi, e pone il problema della rappresentazione delle frazioni.


4. Le frazioni.

Nonostante l'uso della notazione posizionale, né i matematici arabi, né di conseguenza Fibonacci, conoscevano la rappresentazione decimale delle frazioni. Di conseguenza, una volta trovata la parte intera del quoziente, non potevano esprimere il resto altro che con una frazione. Così ad esempio, noi possiamo esprimere il risultato della divisione di 297 per 125 come 2 con il resto di 47, ossia , ma anche come 2,376. Quest'ultima notazione era sconosciuta a Fibonacci [12] .

In molti casi la scrittura usuale delle frazioni ha indubbi pregi di concisione che mancano nella rappresentazione decimale; basti pensare che la maggior parte delle frazioni ha una rappresentazione periodica: per esprimere  si deve scrivere 0,3333333 . Ma la rappresentazione decimale delle frazioni ha un vantaggio rispetto all'altra: che permette di avere un'idea approssimata del valore della frazione. Quando si scrive 0,376 si vede a colpo d'occhio che si tratta di un numero compreso tra 0,3 e 0,4, ossia tra 3 e 4 decimi; e se si vuole maggior precisione tra 0,37 e 0,38, cioè tra 37 e 38 centesimi. Nulla di questo avviene con ; già la prima approssimazione richiede qualche calcolo, e la seconda è decisamente nascosta.

Non essendo d'altra parte disponibile la rappresentazione decimale delle frazioni, si doveva ricorrere ad altri metodi di   approssimazione. Una strada possibile era l'introduzione di sottomultipli: la lira si divide in soldi e questi in denari; la libbra in 12 once che a loro volta sono formate di 25 denari, e così via in una scala di unità di misura che cambiavano spostandosi di pochi chilometri: il braccio fiorentino era diverso da quello pisano. In matematica era spesso usata per questo scopo una divisione sessagesimale ancora oggi presente in trigonometria o nella misura del tempo: minuti primi, minuti secondi, ecc.; un'operazione comune nei calcoli astronomici, ma che era di gran lunga troppo complessa nelle applicazioni pratiche, nelle quali la considerazione di sottomultipli troppo piccoli sarebbe stata solo un'inutile complicazione.

Di qui la necessità di usare un diverso tipo di rappresentazione dei numeri minori dell'unità. A questo scopo, i matematici arabi introducono diversi tipi di scrittura delle frazioni, che Fibonacci riporta all'inizio del capitolo delle divisioni. Il primo posto, naturalmente, spetta alle frazioni usuali: sopra e sotto una linea si scrivono due numeri, di cui il superiore (il denominante, oggi chiamato numeratore) denota quante parti si prendono del numero inferiore (il denominato). Pertanto

se si pone il due sopra il tre, così: , si denotano due parti di tre parti dell'intero, cioè due terze. E se sopra il sette, due settime, eccetera.   Analogamente, 13 posto sopra 29 indica tredici ventinovesime. E 13 sopra 347, tredici trecentoquarantasettesime, e così per i restanti numeri [13] .

Oltre a questa notazione, che è l'unica restata nell'uso corrente, Leonardo introduce tre altre diverse scritture per le frazioni, nelle quali invece di un solo numeratore e un solo denominatore compaiono un numero arbitrario di numeratori e denominatori. Di queste, la più importante è senza dubbio la prima, in cui

il primo numero, che sta   in capo alla linea dalla parte destra, denoterà le parti del numero che gli sta sotto. Quello che sta al secondo [14] posto indica le parti del secondo delle parti del primo. Quello al terzo le parti del terzo delle parti del secondo delle parti del primo, e così sempre il numero che sta sopra la linea denota le parti delle parti di tutti gli antecedenti. Così se sotto la linea si pongono il 2 e il 7, e sopra il 2 si scrive 1 e sopra 7 si mette 4, come qui si vede

la frazione denoterà quattro settime e la metà di una settima [15] .

In generale, la "frazione multipla" [16]

       

denota il numero

In particolare,

sarà uguale alla frazione usuale

.

Nei trattati d'abaco successivi, dal Trattato di Aritmetica di Paolo dall'Abaco, ca. 1350, fino al Trattato d'Aritmetica di Giuseppe Maria Figatelli, pubblicato nel 1664 e ristampato più volte per tutto il Settecento, il procedimento   di passaggio dalla frazione multipla a quella ordinaria si ritrova sotto il nome di "infilzare i rotti". Il passaggio inverso, dalla frazione ordinaria alla multipla (o come si diceva, ai rotti in filza) è chiamato dal Figatelli "traslatare dei rotti". Questa operazione, che consente di passare da una frazione ordinaria a una multipla, dà la possibilità di valutare la grandezza di una frazione con numeratore e denominatore relativamente grandi, ossia, come dice Figatelli, di "convertire un rotto di strana denominazione in una altra spezie di rotto più nota, e chiara" [17] .

Fibonacci enuncia anche dei precetti da osservare, in particolare di disporre i denominatori in ordine crescente da sinistra a destra: "si deve fare in modo che sempre i numeri minori siano verso sinistra sotto la stessa linea" [18] . La ragione di questa regola, che nel Liber Abaci viene data senza alcuna spiegazione, sta con ogni probabilità nel fatto che in questo modo l'approssimazione che si compie prendendo solo i "termini di primo ordine", cioè quelli a destra nel numeratore e nel denominatore, si ottiene usualmente un'approssimazione migliore. Ad esempio, la frazione  si può scrivere nelle due forme e ; la prima dà effettivamente  come prima approssimazione, la seconda è essenzialmente la frazione originaria, e non dà nessun valore approssimato. Alla stessa esigenza si può far risalire la preferenza di Fibonacci per una divisione del denominatore in due parti molto distanti tra loro, divisione che giustifica con ragioni estetiche: "E facciamo così a causa di una notazione più bella; perché è più bello dire  che non " [19] , ma che in realtà conduce in genere a un'approssimazione più precisa. Nel caso della frazione , la divisione del denominatore 20 nei fattori 4 e 5 porterebbe alla frazione multipla oppure , che in prima approssimazione danno rispettivamente i valori  e , ambedue meno precisi [20] di .

Nell'esempio precedente il denominatore era un numero composto, e la sua decomposizione era per così dire naturale. L'operazione di traslatare dei rotti è però possibile anche quando il denominatore è un numero primo; basterà moltiplicare numeratore e denominatore per lo stesso fattore e poi eseguire la scomposizione, avendo cura di cominciare dal denominatore iniziale.

Per esempio, volendo convertire  in tanti quarti, si moltiplica il numeratore 11 per 4 (denominatore di ) ed il prodotto 44 dividendolo per il denominatore 13, di quoziente s'averà 3 , e sono quarti [21] .

In formule, si ha

e la frazione  "di strana denominazione", cioè difficile da stimare, viene tramutata in una "più nota e chiara", , più nota perché essa vale , più un termine aggiuntivo piccolo . La scelta del moltiplicatore comune deve essere fatta con oculatezza, in modo da avere una buona approssimazione; ad esempio moltiplicando per 5 si sarebbe ottenuta la scomposizione

 

che dà un'approssimazione migliore di . A volte la moltiplicazione per un fattore comune può essere opportuna anche quando il denominatore è un numero composto.

Questo procedimento è particolarmente efficace quando i rotti da traslatare rappresentano una certa somma di merci o di denaro, come ad esempio  lire, o se si vuole 12 lire e  di lira.   Quest'ultima frazione deve essere espressa in monete divisionali, cioè in soldi   e denari, tenendo presente che una lira è composta di 20 soldi e un soldo di 12 denari, cosicché una lira vale 240 denari. Si dovranno allora moltiplicare il numeratore e denominatore in modo tale che in quest'ultimo appaia un fattore 240; nel nostro caso basterà moltiplicare per 16, dato che il denominatore contiene già un fattore 15 e 15×16=240. Si ha allora

cosicché in definitiva    di lira fanno 7 soldi, 3 denari e  di denaro, all'incirca 7 soldi, 3 denari e mezzo.  

Le frazioni multiple sono usate diffusamente in tutta l'aritmetica araba, ed echi di questa notazione si trovano già nell'Algebra di al-Khwârizmî [22] , quando questi parla del prodotto  come "media sexte", e cioè  , e quando esprime la frazione  come "quinta et quattuor quintas quinte", ossia .

Oltre a queste, Fibonacci introduce anche altre frazioni a più termini, che ci limitiamo a menzionare:

 

Al contrario delle frazioni multiple, l'uso di queste ultime frazioni è molto infrequente, e con ogni probabilità Leonardo le include nel suo trattato solo per completezza. Invece le prime hanno un posto rilevante nel Liber Abaci, a cominciare dalla divisione, che seguendo l'ordine del volume ora prenderemo in esame.


5. La divisione.

Tra gli algoritmi del Liber Abaci, quello per la divisione è il più lontano da quello attualmente in uso. La causa, ancora una volta, mi pare si debba ricercare nelle notazioni per le frazioni: mentre chi usa la notazione decimale può proseguire la divisione quanto vuole secondo un metodo uniforme, per il matematico medievale, che di questa notazione non disponeva, la divisione doveva necessariamente concludersi con un resto, o se si vuole con una frazione. Come abbiamo visto, in molti casi le frazioni usuali erano poco espressive, e talvolta lasciavano il problema esattamente al punto di partenza. A chi chiedeva di dividere 17 per 32, la risposta  doveva sembrare niente più che la domanda formulata in maniera leggermente diversa, un modo elegante per manifestare la propria impotenza. L'uso delle frazioni multiple poteva in alcuni casi superare questo ostacolo, e dare una risposta che se non altro aveva il pregio di non essere una parafrasi della domanda.

D'altra parte questo indubbio vantaggio si pagava con la perdita di un metodo uniforme, e con la comparsa di differenti algoritmi a seconda della composizione del divisore. Leonardo distingue tre casi: quando il divisore è un numero "piccolo", in genere a una cifra ma anche a volte 11, 12 o 13; quando il divisore è un numero primo; e infine quando è un numero grande composto. Queste tre eventualità vengono trattate successivamente.

I primi due casi sono concettualmente simili, e non si discostano dall'algoritmo moderno se non per la disposizione delle cifre sul foglio. Ad esempio, se si vuole dividere 365 per 7, si scrive 7 sotto il 5 di 365, e poi si dice: 36 diviso 7 è 5, e resta 1; si scrive 5 sotto il 6, e l'1 che resta sopra il 6. Questo 1, unito con il 5 di 365 fa 15, che diviso per 7 dà 2, con resto 1. Si scrive allora 2 sotto il 6, e il resto 1 diviso per 7 dà la frazione . Il risultato della divisione è dunque . Si noti che Leonardo scrive la frazione prima e non dopo il numero; naturalmente prima per noi, che scriviamo da sinistra a destra.

Lo stesso metodo governa la divisione per i numeri primi maggiori di 13, con la complicazione ulteriore delle divisioni singole: quante volte il 31 sta nel 274? Nel caso di numeri fino a 13, questo problema è risolto per mezzo di tavole di divisione. Fibonacci elenca i quozienti e i resti delle divisioni per 2, 3 e 4 dei numeri fino a 20, 30 e 40 rispettivamente, mentre per i divisori da 4 a 13 si limita a un elenco dei multipli, lasciando al lettore il compito di trovare i resti. Naturalmente si potrebbero utilizzare tavole simili anche per numeri maggiori, ma in ogni caso, non essendo possibile di avere una tavola di multipli per tutti i numeri primi, a un certo punto si dovrà eseguire la divisione senza tavole.

Per i numeri primi di due cifre, che terminano necessariamente per 1, 3, 7 o 9, Leonardo suggerisce di operare nel seguente modo: supponiamo che nel corso della divisione si debba determinare quante volte 17 sta in 145. Si prenda la diecina più vicina a 17, cioè 20, e si divida 140 per 20. Il risultato, 7, o il numero successivo 8, è quello che si deve prendere (infatti si è diviso per 20 che è maggiore di 17; nel caso della divisione per 23 si sarebbe ugualmente diviso per 20, ma prendendo un numero uguale o minore al quoziente, dato che 23 è maggiore di 20). In questo modo si riescono a determinare abbastanza agevolmente i quozienti parziali; naturalmente i calcoli sono via via più intricati man mano che aumentano le cifre del divisore. Ad esempio, la divisione di 18456 per 17 si compie come segue: 18 diviso per 17 fa 1 col resto di 1; 14 diviso 17 è 0, con resto 14; 145 diviso 17 (che è 7 o 8, dato che 140 diviso 20 è 7) fa 8 col resto di 9; 96 diviso 17 è 5 con resto 11; e dunque in definitiva il risultato è 1085 .   Da notare che il resto della divisione di 145 per 17 si calcola direttamente, moltiplicando le singole cifre di 17 per 8, e sottraendo da 145.

Fino a questo momento, l'algoritmo della divisione non si discosta da quello attuale che per alcuni dettagli e una maggiore complessità; più interessante è invece la divisione per numeri composti. Per questi non viene adottato il metodo appena visto, ma bensì una tecnica basata sulla rappresentazione delle frazioni che abbiamo descritta in precedenza.

Si comincia scomponendo il denominatore D, in modo che risulti

.

Questa scomposizione non è fatta in fattori primi, ma è composita, nel senso che si cominciano a cercare nell'ordine i fattori 10, 9, ... , 3, 2, e poi, una volta esauriti questi ultimi, si prendono in considerazione i fattori primi maggiori di 10. Ad esempio, 60=10×6; 36=9×4; 66=6×11; 98=7×7×2; 1200=10×10×6×2; 396=9×4×11 ecc. Da notare che una fattorizzazione di questo tipo è unica.

Una volta eseguita la scomposizione del denominatore, la divisione di N per D procede come segue: si dispongono i fattori del denominatore in ordine crescente da sinistra a destra, e si comincia col dividere N per il fattore più piccolo bn. Sia qn-1 il quoziente e an il resto. Si prosegue dividendo qn-1 per bn-1, con quoziente qn-2 e resto an-1 , ... e così via, fino a dividere q1 per b1 , con quoziente Q e resto a1 . Si avrà allora

Ad esempio, si voglia calcolare . Si ha   396 =4×9×11, e inoltre

175= 43×4+3

43=4×9+7

4=0×11+4

per cui:

.

Naturalmente, la notazione in frazioni multiple non è priva di inconvenienti, che si manifestano non appena si vogliano compiere su di esse le operazioni aritmetiche. In questo caso non c'è altro da fare che ridursi di nuovo alle frazioni usuali, compiere le operazioni su di esse, salvo poi esprimere il risultato finale di nuovo in frazioni multiple. A queste tecniche di operazione sui numeri frazionari e misti Leonardo dedica il sesto capitolo, e la prima parte del settimo.


6. Le frazioni unitarie e i primordi della matematica.

A conclusione della sezione aritmetica del Liber Abaci, Leonardo tratta della scomposizione delle frazioni in somma di frazioni a numeratore unitario. Si tratta di un tema antichissimo, che si trova già nella matematica egiziana, ed è trattato diffusamente nel recto del papiro Rhind [23] , risalente all'inizio del secondo millennio avanti Cristo. Come le frazioni multiple, anche questo problema ha a che vedere con la rappresentazione delle frazioni.

Da un punto di vista matematico, il problema consiste nello scomporre una frazione propria nella somma di frazioni con numeratore 1, tutte diverse tra loro:

.

Le ragioni di una tale ricerca non sono del tutto chiare, né esplicitamente enunciate: se la sua presenza nel papiro Rhind può essere messa in rapporto con la rappresentazione delle frazioni, per le quali gli egizi non avevano un sistema di notazioni adeguato [24] , quando Leonardo scrive il Liber Abaci, in cui la varietà delle notazioni per le frazioni è sotto gli occhi di tutti, essa è evidentemente obsoleta, e più che un campo vitale sembra un residuo di epoche lontane. Fibonacci si limita a dire che, dopo aver insegnato come si aggreghino frazioni diverse in una sola, qui si prenderà la strada opposta, "in modo da conoscere in modo più comprensibile quale parte o parti di un singolo intero siano le frazioni di ogni tipo" [25] .

Il papiro Rhind considera solo le frazioni con numeratore 2. Il Liber Abaci invece prende in esame tutte le frazioni, e dunque deve fare i conti con una notevole varietà di situazioni. Leonardo esamina in primo luogo una serie di casi particolari, e precisamente:

1.      N divide D, nel quale basta eseguire la divisione.

2.      N è somma di divisori distinti di D. In corrispondenza,  si ottiene come somma di altrettante frazioni unitarie; ad esempio .

Questi due primi casi sono importanti soprattutto quando il denominatore ammette un considerevole numero di fattori; ad esempio quando D = 6, 8, 12, 20, 24, 60, 100, in quanto molti numeri si potranno scrivere come somma di divisori. Le scomposizioni delle frazioni che hanno uno di questi denominatori saranno poi utili per trattare i casi successivi, e per queste Leonardo fornisce delle tavole di scomposizione; tavole complete (cioè comprendenti tutti i numeratori da 1 a Dè1) per D=6, 8, 12, 20 e 24, mentre per D=60 vengono forniti solo i valori di N = 1è31, 35, 40 e 55,   e per D=100 vengono date le scomposizioni per N =1è10, poi di 5 in 5 da 15 a 50, e infine 60, 70, 75, 80, 85, 95, 99. Da notare che oltre a queste mancanze ci sono delle ovvie ripetizioni (come ad esempio nella tavola di 60 e  in quella di 100).

Le modalità di formazione delle tavole non sono chiare, e nei casi in cui più scomposizioni sono possibili Leonardo non fornisce alcuna spiegazione dei criteri di scelta. Ci sono naturalmente dei criteri di semplicità (un numero minore di termini è usualmente preferito a uno maggiore; denominatori estremi sono usualmente respinti), ma il loro uso non è uniforme. Ad esempio,  è scomposto in  (corrispondente alla scomposizione 11=10+1) invece che  (corrispondente a 11=6+5), mentre per  la preferenza va a  (in corrispondenza a 16=10+6) invece che a , proveniente da 16=15+1. A volte poi le frazioni indicate non hanno numeratore 1:   e    vengono dati rispettivamente come  e ,  addirittura come . Altri sviluppi poi non tengono conto della seconda regola:   la frazione , che essendo 18=10+5+2+1 avrebbe dovuto essere scomposta come , viene invece divisa in , una scomposizione esatta, ma non ottenibile con la regola 2 dato che né 15 né 3 sono sottomultipli di 20.

Le quattro regole successive coprono un piccolo numero di casi particolari, tutti variazioni sul tema della prima   di esse.

3. N divide D+1. Se poniamo  e moltiplichiamo numeratore e denominatore della nostra frazione per k, troviamo

.

Allo stesso modo si procede se N è somma di divisori di D+1.

4. D è primo (ma si può operare così anche se D non è primo) e N-1 divide D+1. Posto  si ha

 

.

5. D è pari (D=2S), e Nè2 divide D+1. Posto , risulta

.

6. D è multiplo di 3 (D=3Q ) e Nè3 divide D+1. In questo caso, posto , risulta:

.

Quando poi la frazione in esame non rientra in nessuno di questi casi, si può dividere il denominatore per il numeratore, e ottenere la massima frazione unitaria contenuta nella data. Il resto può poi essere trattato con uno dei metodi precedenti. Ad esempio, se si vuole scomporre   in frazioni unitarie, si divida 13 per 4; il quoziente 3 ci dice che  è la massima frazione unitaria minore di , e dunque si scriverà . L'ultima frazione rientra nel caso 2., e quindi risulta:

 

Quest'ultimo metodo si può applicare anche in alternativa ai precedenti, dato che   "talvolta si trovano gli sviluppi dei casi precedenti meglio che con le regole ad essi proprie" [26] .

Di tutti questi metodi, il più interessante è certamente quello descritto alla fine del capitolo, sotto il titolo di "Regola generale per lo sviluppo delle frazioni" [27] . Si tratta di scegliere un intero L compreso tra la metà e il doppio del denominatore (ma negli esempi L si prende sempre minore di D) e che abbia molti fattori, possibilmente distinti, come ad esempio 12, 24, 36, 48, 60, ecc. Dividiamo ora NL per D, e sia q il quoziente e r il resto: NL=qD+r; si ha

A questo punto, profittando della divisibilità di L, si tratterà di scrivere q e r come somma di fattori di L, e dunque ci si è ricondotti al caso 2. Ad esempio, se si vuole scomporre , si può prendere L=12, ottenendo

Naturalmente, si possono dare diverse scomposizioni, che Leonardo accetta in blocco, senza dare cioè delle regole di preferenza che non siano dei vaghi criteri estetici. Così dice:

Si deve notare che quando per la settima regola avrai preso la massima frazione unitaria contenuta nella frazione data, se le rimanenti parti singole risultano poco belle, lascia la massima frazione unitaria e prendi quella immediatamente minore; ad esempio, se la massima frazione unitaria fosse , proverai con , se fosse , utilizzerai . [28]

Così ad esempio, trattando  con la settima regola, si ottiene la scomposizione

mentre se invece di 1/13 si parte con 1/14 si trova

Con questa osservazione termina la trattazione delle scomposizioni, senza che si possa scorgere nella materia né un disegno organico, né uno scopo applicativo. E in effetti, si ha l'impressione che Fibonacci, più che operare con un metodo uniforme, ad esempio nel costruire la tavola, si sia limitato a riportare questa, e in generale tutte le regole di scomposizione, da testi e tradizioni precedenti, che assume nel loro complesso inserendole direttamente nel suo trattato.

D'altra parte, non è questo delle scomposizioni in frazioni unitarie il solo luogo del Liber Abaci che affonda le sue radici nella più remota antichità. Un altro problema, inserito tra le questioni miscellanee, si ritrova inalterato nella sostanza per un arco immenso di anni; dal papiro Rhind:

Sette case; in ognuna sette gatti; ogni gatto uccide sette topi; ogni topo aveva mangiato sette grani; ogni grano produce sette hekat. Qual'è il totale di tutti?

fino ai giorni nostri:

Per una strada che andava a Camogli

incontrai un uomo con sette mogli.

Ciascuna moglie aveva sette sacchi,

in ciascun sacco c'eran sette gatti,

ciascun gatto con sette gattini.

Tra sacchi, gatti, gattini e mogli

in quanti andavano dunque a Camogli?

Nel Liber Abaci l'enunciato è

Sette vecchie vanno a Roma; ognuna ha sette muli, ogni mulo ha sette sacchi, in ogni sacco ci sono sette pani, ogni pane ha sette coltelli, ogni coltello sette guaine. Si chiede la somma di tutti.

In ogni caso, si tratta di sommare una progressione geometrica di ragione 7; Leonardo considera un termine in più rispetto al papiro Rhind, che a sua volta ha un termine in più rispetto alla filastrocca. Quello che al tempo di Fibonacci costituiva ancora un pezzo di bravura, ai giorni nostri è diventato gioco di ragazzi.

Sempre ai primordi della matematica rinvia il problema della scacchiera [29] . Vuole una nota leggenda che l'inventore del gioco degli scacchi chiedesse al principe al quale lo offriva un'inusuale ricompensa: un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta, e così via sempre raddoppiando fino a giungere all'ultima casella della scacchiera, la sessantaquattresima. L'apparente modestia della richiesta, un po' di chicchi di grano, indusse l'incauto principe ad acconsentire senza riflettere al desiderio dell'inventore. Mal gliene incolse, perché la quantità dei chicchi di grano eccedeva non solo quanto era contenuto nei granai del regno, ma quanto frumento tutta la Terra potesse dare, quand'anche fosse stata tutta coltivata a grano.

Fibonacci non menziona questa leggenda, ma calcola il numero che si ottiene duplicando ogni volta quello della casella precedente fino alla fine della scacchiera, e la somma di tutti questi numeri, cioè il numero totale dei chicchi di grano della leggenda.

Il risultato si potrebbe ottenere partendo da 1 e raddoppiando ogni volta: 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128, 256, 512, 1024, 2048, e così via, fino al sessantaquattresimo numero della sequenza. Fibonacci però è più furbo, e trova un procedimento più veloce. Comincia a calcolare i primi otto numeri, quelli cioè che formano la prima riga della scacchiera; la loro somma 1+2+4+8+16+32+64+128=255 è di uno minore del numero successivo 256. Se ora si moltiplica 256 per sé stesso, si ottiene 65.536, che supera di uno la somma dei numeri delle prime due righe. Moltiplicando questo numero per sé stesso, si trova 4.294.967.296, che è di uno superiore alla somma dei numeri delle prime quattro righe. Infine, moltiplicando ancora una volta l'ultimo numero trovato per sé stesso, si trova 18.446.744.073.709.551.616, che supera di uno la somma di tutti i numeri della scacchiera, ossia di tutti i chicchi di grano.

Un numero così lungo non dice niente, ed è difficile farsi un'idea della sua enormità; in fondo a vederlo scritto non sembra poi tanto spaventosamente grande. Per far sì che il lettore possa farsi un'idea, Leonardo introduce una serie di grandezze crescenti. Supponiamo èdiceè che i numeri rappresentino altrettanti bisanti (il bisante è una moneta d'oro imperiale); le prime due righe della scacchiera assommeranno a 65.536 bisanti, che riempiono una cassa. Alla terza riga si ricomincia con 2, 4, 8, casse, finché alla fine della quarta riga si saranno riempite 65.536 casse, che faranno una casa. La quinta e la sesta riga daranno allora 65.536 case, una città; e infine le ultime due righe moltiplicheranno il numero delle città fino a 65.536. In totale, se si parte con un bisante, tutta la scacchiera ammonterà a 65.536 città, ognuna delle quali sarà composta di 65.536 case, che conterranno ciascuna 65.536 casse con 65.536 bisanti ognuna.

Un calcolo simile Leonardo fa con i chicchi di grano: quante navi si potrebbero riempire se ognuna di esse porta 500 moggi pisani, che pesano 24 sestari ognuno, con un sestario composto di 140 libbre, ognuna di 12 once, le quali a loro volta valgono ciascuna 25 denari, ognuno dei quali è costituito da 24 grani di frumento? [30] Il risultato è stupefacente, ancor più di quello delle città: si caricherebbero 1.525.028.445 navi [31] , cioè più di un miliardo e mezzo; "il quale numero, dice Leonardo, è apparentemente innumerabile e quasi infinito" [32] .


8. L'aritmetica mercantile.

Le misure di peso utilizzate nell'ultimo problema ci introducono ai problemi di tipo mercantile, ai quali sono dedicati i capitoli 8è11 del Liber Abaci. Si tratta di problemi di tipo relativamente semplice, ma resi complessi dalla straripante molteplicità dei vari tipi di misure e monete. Solo per fare un esempio, riportiamo i sistemi di pesi in uso a Pisa:

1 Cantare pisano = 100 rotuli                                     1 Cantare pisano = 158 libre sottili

1 rotulo = 12 once                                                      1 libbra = 12 once di libbra

1 oncia = 39 denari di cantare                                1 oncia di libbra = 25 denari di cantare

1 denaro di cantare = 6 carrube

1 carruba = 4 grani di frumento [33] .

La stessa varietà caratterizza le misure di lunghezza, per le quali ogni città ha i suoi propri campioni differenti da quelli delle altre; così come avviene per le misure di superficie che ne derivano, per non parlare delle monete. Ne segue che prima di compiere ogni operazione, occorre ridurre tutte le misure a unità comuni, un'operazione piuttosto noiosa. Peraltro la grandissima abbondanza di misure diverse, spesso con lo stesso nome, è un fattore che ritarderà considerevolmente la numerizzazione delle grandezze, e di conseguenza il passaggio dal linguaggio delle proporzioni, che tratta direttamente delle grandezze indipendentemente dal loro valore numerico rispetto a una data unità di misura,   a quello dei numeri reali, che richiede unità condivise da tutti.

Lasciando da parte i problemi lessicali, che meriterebbero uno studio accurato, veniamo alla descrizione dei vari capitoli.

Il capitolo 8 tratta dei prezzi delle merci, ed è basato sulla regola del tre. Leonardo opera come al-Khwârizmî, cambiando solo la disposizione dei termini, e mettendo cioè sulla stessa colonna le quantità e i prezzi delle merci. Di conseguenza, l'operazione consiste nel moltiplicare tra loro i numeri sulla diagonale completa, e dividere per quello sulla diagonale incompleta. In dettaglio, se A e B rappresentano due diverse quantità della stessa merce, e se a e b sono i rispettivi prezzi, dalla naturale proporzionalità tra quantità e prezzo di una stessa merce si avrà

a:A=b:B

e dunque aB = Ab. Di qui, se tre delle quattro quantità sono note, possiamo ricavare la quarta, donde il nome di regola delle tre cose, o più semplicemente regola del tre. Ad esempio,

se una canna pisana, cioè 4 braccia di un certo panno, si vende per 7 soldi, e si chiede quanto vale un braccio, formalizza il problema come vedi: moltiplica poi 7 per 1 e dividi per 4; verranno soldi 1 e , cioè 21 denari. E devi sempre considerare che in questi problemi, come scrivi una merce sotto la merce simile, così scriverai una misura sotto la misura simile, un peso sotto un peso simile, cioè canne sotto canne, braccia sotto braccia, palmi sotto palmi, e così per gli altri. [34]

In altre parole, occorre fare attenzione all'omogeneità delle unità di misura, sia per quello che riguarda le merci, sia per le monete; quando i dati non siano espressi in maniera omogenea, bisogna ridurli alle stesse unità di misura, cosa che si può fare applicando di nuovo la stessa regola del tre.

Nel capitolo successivo lo schema si complica: le merci ora diventano due, ognuna con la sua quantità e col suo prezzo. Il problema modello è quello dei baratti: se una quantità A di una prima merce vale a, e la quantità B di una seconda merce vale b, che quantità della seconda merce posso ottenere in cambio di una quantità C della prima? Siamo qui in presenza di un'applicazione della proporzione composta: se indichiamo con X la quantità incognita della seconda merce, si ha C:X = a:A ´ B:b. La formula che ne deriva: prende il nome di regola del tre composta.

Si può fare uno schema come quello precedente, riportando in primo luogo le quantità note delle merci e i loro prezzi, e mettendo al centro quella che compare due volte, nel nostro caso i prezzi:

A questo punto si può scrivere la quantità data C sotto quella della stessa merce A:

da cui si ottiene il valore incognito moltiplicando in diagonale CaB e dividendo per Ab. Rientrano in questo caso anche i cambi tra due monete, quando si paragonano a una terza.

Ad esempio, 20 braccia di panno valgano 3 lire di pisani, e 42 rotuli di cotone valgano 5 lire di pisani. Si chiede quanti rotuli di cotone si avranno per 50 braccia di panno. Scrivi dunque sulla tavola 20 braccia, e accanto scrivi 3 lire, cioè il loro prezzo, sotto le quali scrivi 5 lire, e a fianco di queste scrivi 42 rotuli. Scrivi poi 50 braccia sotto 20 braccia, e moltiplica 50 per 3, che stanno diagonalmente, fa 150 che moltiplica per 42 posto diagonalmente, e quello che viene dividilo per gli altri numeri, cioè per 20 e per 5, cioè per 100. Il risultato è 63, e tanti rotuli di cotone si avranno per 50 braccia di panno.

Questo metodo procede dalla proporzione che ha la prima merce all'altra, che è composta di due proporzioni, quella della quantità della prima merce al suo prezzo, e quella del prezzo della seconda merce alla sua quantità [35] .

In ambedue i casi, sia per la regola del tre semplice che per quella composta, Fibonacci dà una serie vastissima di esempi, tratti da situazioni commerciali reali: baratti, cambi di monete, lavoro compiuto da più operai, e simili. Non manca poi di considerare situazioni numeriche complesse, al limite del virtuosismo, come avviene quando le quantità di merce e i prezzi relativi sono dati in unità diverse, e quindi debbono preliminarmente essere ricondotti alla stessa unità di conto.

Proseguendo la trattazione delle questioni commerciali, il decimo capitolo tratta delle società: come devono essere divisi gli utili se ogni socio partecipa con un capitale diverso? La risposta di Fibonacci è che, una volta detratte le spese,   ad ogni socio tocca tanta parte dell'utile totale quanto il suo capitale è del capitale totale. Di conseguenza, l'utile di ciascun socio si calcola moltiplicando il suo capitale per l'utile complessivo, e dividendo il prodotto per il capitale totale, cioè per la somma dei capitali impiegati dai singoli soci.

Se vuoi sapere quanto del profitto tocchi a ciascuno, scrivi la parte del primo socio all'estremità destra della tavola, poi sulla stessa linea scrivi ordinatamente verso sinistra le parti degli altri soci, e all'altra estremità poni il profitto. Poi somma tutti i capitali in uno, e metti da parte la somma, per la quale dividerai il prodotto del capitale di ogni socio per il profitto. In questo modo avrai quanto dell'utile totale tocca a ciascuno. [36]

Da notare che, secondo l'uso pisano, all'amministratore spetta un quarto dei profitti.

Infine, il capitolo 11 tratta dei titoli delle monete. Il titolo di una moneta è un numero compreso tra 0 e 12, che esprime le once d'argento in una libbra di moneta [37] . Il problema che si pone è quello della fusione (consolamen) delle monete, cioè di come ottenere monete di un certo titolo, a partire da argento, rame e da varie monete di titolo dato. Fibonacci distingue tre situazioni principali: quando si fondono una certa quantità di rame e di argento, quando si fondono insieme monete di titolo dato più certe quantità di rame e/o di argento, e infine quando si fondono solo monete di vari titoli, senza aggiunta di metallo. Ognuna di queste situazioni si divide ulteriormente in vari sottocasi, a seconda di quali siano i dati e quali le incognite del problema, ma tutti ricondotti alla proporzionalità. Ad esempio,

un tale ha 7 libbre d'argento e vuole fare monete a 2 once d'argento per libbra. Si vuole sapere la quantità totale di moneta, nonché del rame da aggiungere.   Da queste 7 libbre d'argento fanne once, e saranno 84. Dato che in ogni libbra di moneta ci sono 2 once d'argento, quante volte 2 once entrano in 84, tante volte si può fondere una libbra di monete da queste once d'argento. Ma in 84 once due once entrano 42 volte; dunque da 84 once d'argento si possono fondere 42 libbre di monete. Dalle quali, tolte le 7 libbre d'argento, rimangono 35 libbre di rame da aggiungere. [38]

Gli altri problemi sono via via più complessi, ma seguono sempre la stessa traccia: si tratta di valutare la quantità di uno dei due metalli, quello che non si aggiunge, e poi determinare quella dell'altro in modo da ottenere il titolo voluto.

In conclusione, pur nella loro molteplicità, i problemi di commercio sono raggruppati in famiglie omogenee, una per ogni capitolo. Le prime due sono costituite da problemi che portano ad una proporzionalità semplice (cap. 8) e composta (cap. 9), e dunque alla cosiddetta regola del tre semplice o composta. Vengono poi i problemi di società (cap. 10) e quelli del titolo delle monete (cap.11), che si risolvono ancora per mezzo di una proporzione: il profitto di uno sta all'investimento di uno come il profitto totale sta all'investimento totale; tante le once di argento in una libbra, quante le once di argento disponibili nelle libbre totali di moneta.

Degno di nota è il fatto che, nonostante il loro carattere pratico, la classificazione dei problemi nei vari capitoli segue criteri strettamente matematici, raggruppando insieme i problemi a seconda del metodo che li risolve; metodi basati tutti sulla proporzionalità, il vero cardine sul quale ruota tutta l'aritmetica mercantile.


9. Matematica ricreativa.

Il capitolo 12, il più ampio di tutto il Liber Abaci, occupa le pagine 166-318 dell'edizione Boncompagni, e   tratta di questioni miscellanee, divise in nove parti:

1.      La somma di numeri, e questioni simili.

2.      Le proporzioni tra i numeri, e la regola del quarto proporzionale.

3.      I problemi di alberi, e altri simili.

4.      Di uomini che trovano borse di denaro.

5.      L'acquisto di cavalli tra soci secondo una data proporzione.

6.      I viaggi e questioni simili.

7.      Altri problemi miscellanei.

8.      Osservazioni sulle divinazioni.

9.      Il raddoppio della scacchiera, e altre questioni..

Dell'ultimo problema abbiamo già detto; non potendo trattare tutti gli altri, ci limiteremo ad alcuni cenni sui problemi più importanti o più curiosi.

Il primo paragrafo, "de collectionibus numerorum", tratta della somma dei termini di una progressione aritmetica, e dei loro quadrati. La regola per il primo caso è la seguente: per sommare un certo numero di termini di una progressione aritmetica, si moltiplica la metà del numero dei termini per la somma del primo e dell'ultimo, ovvero il numero dei termini per la semisomma degli estremi. In formule:

  .

Regole particolari vengono enunciate per i casi b=0 e per i numeri dispari: a=2, b=1; in quest'ultimo caso, si può ottenere la somma elevando al quadrato la semisomma degli estremi.

Viene poi presa in considerazione la somma dei quadrati di alcune progressioni aritmetiche, e precisamente dei quadrati dei numeri a partire dall'unità, dei quadrati dei numeri dispari sempre da 1, o anche dei quadrati dei multipli di un numero a partire da questo (ad es. i numeri pari da 2, i multipli di 4 da 4, ecc.). Per tutti, la regola è sempre la stessa: si moltiplica l'ultimo numero per il seguente, e ancora per la somma dei due, e il risultato si divide per 6, e per la differenza di due numeri consecutivi. Ad esempio:

;

 ;

 .

A questo punto, Leonardo conclude con un "e lo stesso si fa negli altri casi", una frase che si riferisce all'ultima somma, nella quale il 4 si può sostituire con un altro qualsiasi numero, ma che può lasciare il lettore nel dubbio se il metodo non sia estendibile in generale alla somma dei quadrati di una qualsiasi progressione aritmetica. In quest'ultimo caso naturalmente il risultato non sussiste.

Vengono poi discussi alcuni problemi che si risolvono per mezzo delle formule precedenti, il più caratteristico dei quali consiste nel determinare dopo quanti giorni un viandante che percorre 1 miglio il primo giorno, 2 il secondo, e così via, raggiunge un secondo viaggiatore che percorre 20 miglia al giorno.

Con il terzo paragrafo, che reca il titolo piuttosto anodino di "problemi di alberi, e simili", si entra in una delle regole centrali dell'aritmetica medievale: il metodo della falsa posizione. Questo opera nella soluzione di equazioni di primo grado, del tipo cioè

a x = b .

Per questo, si pone x=A (la falsa posizione); in generale il risultato aA sarà diverso da b. Si dice allora: per A che avevo posto, viene aA; quanto dovrò porre affinché venga b? Algebricamente, la risposta è evidente: , come si poteva vedere fin dall'inizio risolvendo l'equazione proposta, e anzi l'introduzione della quantità A sembra più complicare le cose che semplificarle. Dov'è allora l'interesse del metodo della falsa posizione?

Prima di rispondere, vediamo un esempio tipico: il problema dell'albero, che dà il nome al paragrafo. "C'è un albero, del quale  e  sono 21 palmi; si chiede quale sia la sua lunghezza".

Per ridursi all'equazione bisogna eseguire la somma , e quindi trovare un numero tale che i suoi    siano uguali a 21, un problema quest'ultimo che non è riconducibile allo schema delle proporzioni. Al contrario, una scelta oculata della falsa posizione (cioè del numero A) può rendere il calcolo molto semplice. Supponiamo che la lunghezza sia 12; sommando  e di 12 si ottiene 4+3=7. Si dirà allora: se 12 mi dà 7, quanto occorrerà per avere 21? La risposta viene da un'applicazione molto semplice della regola del tre: il risultato voluto è . Così la scelta di una conveniente falsa posizione (si sarà notato che 12 è divisibile sia per 3 che per 4) permette di evitare la somma delle frazioni + , e quindi in definitiva di semplificare i calcoli.

Sempre per mezzo della falsa posizione si risolvono problemi di numeri proporzionali, come quello di trovare tre numeri in proporzione geometrica la cui somma sia 10. Partendo da tre numeri qualsiasi in proporzione continua èad esempio 1, 2 e 4, la cui somma dà 7è si dirà: se 1 (il primo dei tre numeri) mi dà 7, cosa dovrò prendere per avere 10? La risposta è  , e i tre numeri sono ,  e .

La regola della falsa posizione fa emergere un punto importante nello studio dell'aritmetica medievale: non sempre quello che è semplice concettualmente, nel nostro caso, l'equazione ax=b, lo è anche algoritmicamente, soprattutto quando la mancanza di una notazione letterale rende difficile vedere il permanere della struttura dietro la molteplicità dei problemi, apparentemente tutti diversi tra loro. In effetti, la semplificazione introdotta dal metodo della falsa posizione è tale, che è conveniente utilizzare anche una sua estensione, detta della doppia falsa posizione o con voce araba "elcataym", che consente di affrontare problemi che conducono a un'equazione del tipo ax+c=b.  

Ma questo è l'oggetto di un capitolo successivo. Prima di affrontarlo, continuiamo la descrizione del   dodicesimo capitolo, che non possiamo lasciare senza aver accennato a un problema che è poi rimasto legato al nome di Fibonacci: la generazione dei conigli.  

 


10. Conigli, api, conchiglie e numeri di Fibonacci.

Uno dei problemi più famosi, forse il più famoso di tutto il Liber Abaci, è senza dubbio quello relativo alla crescita del numero di conigli, che conduce alla definizione della famosa sequenza di interi, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, , nota come serie di Fibonacci. Quanto Leonardo ritenesse importante questo risultato non è noto, e probabilmente lo considerava alla stregua di tanti altri problemi che aveva trattato in quelle stesse pagine. In effetti, il problema è posto, risolto, e abbandonato senza una sola riga di commento, né un cenno a possibili ulteriori sviluppi, che furono scoperti solo vari secoli dopo. D'altra parte, la serie di Fibonacci ha mostrato col passare del tempo una grande varietà di collegamenti, spesso inaspettati, con altri problemi, sia nell'ambito interno alla matematica che nelle applicazioni alle scienze naturali, e i suoi termini si ritrovano con grande frequenza nelle cose della natura, dai petali dei fiori alle pigne, dalle conchiglie alla distribuzione delle foglie sullo stelo di una pianta. Benché il meccanismo che determina la presenza dei numeri di Fibonacci non sia ancora ben compreso, basta un minimo di osservazione per notare come, a fronte di molti fiori con tre, cinque ed otto petali (ma anche con 21 o 34), ce ne siano relativamente pochi con quattro, e quasi nessuno con sei o sette petali.

Ma sentiamo Leonardo:

Quante coppie di conigli discendano in un anno da una coppia.

Un tale mise una coppia di conigli in un luogo completamente circondato da pareti, per scoprire quante coppie di conigli discendano da questa in un anno. Per natura ogni coppia di conigli genera in un mese un'altra coppia, e cominciano a procreare a partire dal secondo mese di vita.

Poiché la prima coppia genera nel primo mese, i conigli raddoppieranno, e alla fine del mese avremo due coppie. Di queste solo una, cioè la prima, genererà anche nel secondo mese, e quindi alla fine di questo avremo tre coppie, due delle quali nel terzo mese genereranno altre due coppie, e così avremo 5 coppie nel terzo mese. Nel quarto, saranno feconde tre coppie, e avremo 8 coppie, di cui 5 genereranno nel quinto, per un totale di 13 coppie [39] .

Via via Fibonacci calcola 21 coppie nel sesto mese, 34 nel settimo, 55 nell'ottavo, 89 nel nono, 144 nel decimo, 233 nell'undicesimo, e infine al termine dell'anno 377 coppie di conigli. Naturalmente il calcolo può continuare facilmente al di là dei dodici mesi, per un arco di tempo arbitrario, dato che, come osserva Leonardo, per ottenere il terzo numero non abbiamo fatto altro che sommare

il primo numero col secondo, cioè 1 con 2; poi   il secondo con il terzo, il terzo con il quarto, il quarto col quinto, e così di seguito, fino a sommare il decimo con l'undicesimo, cioè 144 con 233, per trovare la quantità finale di 377 coppie di conigli; e così si può continuare ordinatamente per infiniti mesi successivi [40] .

La successione 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, 377, 610, ecc. si chiama oggi serie di Fibonacci, e i numeri che la compongono sono detti numeri di Fibonacci.

Fin qui il Liber Abaci. Ma vediamo alcuni altri problemi in cui entra la serie di Fibonacci.

Uno di questi è in un certo senso opposto a quello dei conigli, e riguarda le api. Come si sa, un alveare è composto di   maschi, i fuchi, e di femmine, le operaie, oltre naturalmente alla regina, che si assume il compito della procreazione. La nascita delle api ha luogo sia da uova fecondate che da non fecondate; le prime danno origine alle operaie o alla nuova regina, le seconde ai fuchi. Di conseguenza, l'ape femmina ha due progenitori, il maschio uno solo. Partendo da un'operaia, ci si chiede quanti siano i suoi antenati di prima, seconda, terza generazione, e così via.

Essendo una femmina, l'operaia ha due genitori. Di questi, uno è maschio, e ha un solo genitore femmina, l'altro ne ha invece due; in totale, gli antenati di seconda generazione èi nonniè di un'operaia sono tre, due femmine e un maschio. Le due femmine hanno ognuna due genitori, il maschio uno, e quindi la terza generazione è formata da 5 individui, due maschi e tre femmine. Così proseguendo, avremo 8, 13, 21, antenati, ritrovando di nuovo i numeri di Fibonacci. Di questi antenati, le femmine sono uguali al numero che precede, i maschi a quello ancora precedente.

Un'altra situazione, stavolta geometrica, che conduce ai numeri di Fibonacci, è connessa con la costruzione di quadrati adiacenti. Partiamo da un quadrato di lato 1, e sul lato di questo costruiamo un secondo quadrato adiacente, anch'esso di lato 1. I due quadrati formeranno un rettangolo 2×1, e quindi il prossimo quadrato adiacente sarà di lato 2. Insieme ai precedenti,  questo quadrato formerà un rettangolo 3×2, sul quale poggerà un quadrato di lato 5. Continuando si forma una sequenza di quadrati, i cui lati sono i numeri di Fibonacci successivi 1, 2, 3, 5, 8, 13, ecc.

Tracciando in ogni quadrato un quarto di cerchio come nella figura, si ottiene la cosiddetta "spirale di Fibonacci", una forma che si ritrova in certe conchiglie.

Come ha osservato lo stesso Leonardo, la serie di Fibonacci è caratterizzata dalla proprietà che ogni numero è la somma dei due che lo precedono. Se indichiamo i termini successivi con i simboli F1, F2, F3, ... , Fn, eccetera, avremo dunque Fn+1=Fn+Fn-1. Se ora dividiamo per Fn, e poniamo an=Fn/Fn-1,   otteniamo

Se ora facciamo crescere il numero n, i valori   an e an+1 si avvicinano sempre più a uno stesso valore γ, che verifica la relazione

,

una relazione che si può scrivere anche nella forma , che ci dice che l'inverso di γ è uguale a γè1. Moltiplicando tutto per γ, otteniamo l'equazione

,

la cui soluzione positiva è

.

Storicamente, il numero γ (o meglio il rapporto che rappresenta) compare per la prima volta negli Elementi di Euclide nell'ambito del problema della divisione di un segmento AB in media ed estrema ragione, cioè in due parti tali che AB stia alla parte maggiore AC come questa sta alla minore CB; in formule .


   

Questa relazione è verificata se prendiamo AB=γ ed AC=1.   Avremo infatti , e quindi i rapporti  e sono ambedue uguali a γ.

Un altro modo di vedere la relazione precedente è di costruire un rettangolo di base γ e altezza 1. Se da esso tagliamo il quadrato ACED di lato 1,


il rettangolo residuo CBFE è simile al rettangolo di partenza. Infatti si ha CE=AC, e dunque . Questa   eleganza di proporzioni fa sì che il rettangolo ABFD sia usato spesso in architettura; un esempio lo troviamo nella facciata del Partenone.

Nel Rinascimento il numero γ   è stato caricato di significati simbolici; Luca Pacioli lo ha chiamato "divina proportione" e gli ha dedicato un libro con questo titolo; più tardi è stato chiamato sezione aurea, o numero d'oro.

Numericamente, siccome √5 ≈ 2,2360679774997896964, si ha

γ ≈ 1,618033988749894848204586...


11. La doppia falsa posizione.

Lasciando da parte gli altri problemi, per quanto interessanti, trattati in questa parte del Liber Abaci, tutti inerenti al   settore della "matematica ricreativa"   ­èuomini che trovano borse e se ne dividono il contenuto, viaggi durante i quali si spendono e si guadagnano varie somme, acquisti di cavalli, tutti problemi riconducibili nel quadro generale della proporzionalitàè veniamo al metodo della doppia falsa posizione, o con una voce araba alla "regula elcataym", o del cattaino, "per mezzo della quale si risolvono praticamente tutte le questioni miscellanee".

Il metodo, che occupa il tredicesimo capitolo,   serve per risolvere problemi che conducono a un'equazione lineare del tipo

ax+b=c

o più in generale sistemi di equazioni lineari, riconducendoli al calcolo del quarto proporzionale, proprio della regola della falsa posizione.

Anche per la doppia falsa posizione vale quanto osservato in merito al più semplice metodo della falsa posizione, dato che come in quel caso, anche questo tipo di problemi ha la soluzione immediata

.

In ambedue i casi, gioca il fatto che la il calcolo effettivo dei coefficienti a, b e c dell'equazione, e quindi della soluzione data algebricamente, può essere molto laborioso, più di quanto occorra per trovare la soluzione con la regola del cattaino. Fibonacci utilizza questo metodo con elegante maestria, giungendo a risolvere fino a problemi riconducibili a sistemi di cinque equazioni in altrettante incognite. Si tratta di veri e propri pezzi di bravura, che fanno del tredicesimo capitolo il coronamento dell'aritmetica "prealgebrica".

Per capire di cosa si tratta, riprendiamo dal Liber Abaci un problema di viaggi, che Leonardo aveva già trattato con altri metodi nel capitolo precedente: un viaggiatore tocca successivamente Lucca, Firenze e Pisa, raddoppiando in ogni città il denaro con cui arriva e spendendo ogni volta 12 denari, per restare alla fine senza un soldo. Si chiede con quanto era partito.

Proviamo a impostare il problema mediante l'algebra. Se chiamiamo x la somma (in denari) con la quale il viaggiatore era partito, lasciando   Lucca si ritroverà con 2xè12 denari, che dopo la sosta a Firenze diventeranno 2(2xè12)è12=4xè36, e infine a Pisa saranno 2(4xè36)è12 = 8xè84. Quest'ultima quantità è uguale a zero, e quindi si ha .

Per risolvere lo stesso problema col metodo della doppia falsa posizione, si può procedere così: si suppone dapprima che fosse partito con 12 denari, nel qual caso a ogni tappa, e dunque anche alla fine, gli resterebbero 12 denari. Se invece fosse partito con 11 denari, rimarrebbe a Lucca con 22è12=10, a Firenze con 20è12=8 e infine a Pisa con 16è12=4 denari. Una diminuzione di uno (da 12 a 11) nella supposizione iniziale ha portato dunque a una diminuzione di 8 (da 12 a 4) nel risultato finale. Si dirà allora:

per   1 che ho diminuito del capitale, mi sono avvicinato di 8; quanto dovrò ancora diminuire per avvicinarmi di altri 4?    Si moltiplica 4 per 1, e si divide per 8; verrà   ½ denaro, che tolto da 11 denari darà per il capitale iniziale 10 denari e ½. [41]

Il metodo si può utilizzare per tutti i problemi che si riconducono all'equazione data. In questa poniamo successivamente x=x1 e x=x2 , ottenendo rispettivamente i risultati c1=ax1+b e c2 =ax2+b.

Se ora poniamo x2èx1= X , e   c2èc1= C , si avrà aX =C, e si è ricondotti al metodo della falsa posizione: se un incremento (o decremento se X è negativo) X dell'incognita ha prodotto un incremento C del risultato, quale ulteriore incremento sarà necessario per passare da c2 a c? La risposta è subito trovata: il metodo della falsa posizione dà immediatamente che l'ulteriore incremento sarà il quarto proporzionale dopo C, X e   cèc2, e quindi la soluzione sarà

.

Il pregio di un tale approccio sta quasi totalmente nel fatto che non occorre ridurre preventivamente l'equazione data alla forma aX=C, alla quale si può applicare direttamente la regola della falsa posizione; nel caso di un'equazione con molti termini, e ancor più per un sistema, una tale riduzione può essere poco agevole.

Allo stesso metodo si riducono problemi a più incognite, che conducono dunque a sistemi lineari:

Due uomini avevano dei denari. Il primo disse al secondo: se mi dessi la terza parte dei tuoi denari, ne avrei 14. E il secondo rispose: e se tu mi dessi la quarta parte dei tuoi, ne avrei 17. [42]

Il problema si riduce al sistema di due equazioni in due incognite

Usando il metodo della doppia falsa posizione, la soluzione si può trovare così: se si pone x=4, la prima equazione dà y=30, e inserendo questi valori di x e y nella seconda si trova il risultato 31, con un errore di 14 rispetto a 17.   Se invece si pone x=8, [43] si ha y=18, e un risultato finale di 20, con un errore di 3. Allora si dirà: se aumentando la posizione di 4 ho diminuito l'errore di 11 (da 14 a 3), quanto dovrò aumentare ancora la mia posizione per diminuire l'errore di altri 3? La risposta è , e dunque si ha e di conseguenza .

Da notare che il metodo funzione anche nel caso di sistemi di tre o più incognite, ovviamente al prezzo di notevoli complicazioni nei calcoli. Ad esempio, nel caso di tre incognite x, y e z, si darà un valore a una delle tre, ad esempio alla x, e in corrispondenza a tale valore si risolverà il sistema delle prime due equazioni, mediante la regola della doppia falsa posizione.   Si introdurranno quindi i valori delle tre incognite (quello della x assunto e quelli della y e della z calcolati) nella terza equazione, trovando un risultato diverso dal voluto. Si ripeterà poi lo stesso procedimento con un secondo valore della x, e si otterrà un nuovo risultato. A questo punto scatta il solito procedimento: se con un incremento di tanto mi sono avvicinato di tanto, quanto dovrò ancora aumentare il valore assunto per ottenere il risultato voluto?  

Fibonacci giunge a trattare un problema che coinvolge cinque uomini, e che quindi conduce a un sistema in cinque incognite:

un sistema che Leonardo risolve con un triplice uso della doppia falsa posizione; un'operazione di grande virtuosismo nel campo dell'algebra verbale.


12. Il calcolo delle radici.

Il capitolo che segue insegna in primo luogo l'estrazione delle radici quadrate e cubiche. Per le prime si procede trovando dapprima la parte intera, e cioè il massimo numero che elevato al quadrato non supera il numero dato. Supponiamo dunque di voler trovare la radice di 743. Si cerca per prima cosa la radice intera di 7, che è 2, il cui quadrato 4 si sottrae da 7; si ottiene il resto 3, che premesso alla seconda cifra 4 dà 34. Si tratta a questo punto di cercare un numero N che moltiplicato per il doppio di 2 non superi 34, e tale che il resto 34è4N, posto davanti all'ultima cifra 3, dia un numero maggiore del quadrato di N, mentre il resto sia minore del doppio di tutta la radice. Nel nostro caso si ha N=7; infatti 74=28<34, e inoltre 34è28=6, che posto davanti a 3 fa 63, un numero maggiore di 72 =49, mentre 63è49=14 è minore di 2×27. Si ha allora , con un resto di 14.

Se poi si vuole avere una migliore approssimazione, si dividerà il resto 14 per il doppio della radice 27, ottenendo ; la radice sarà allora . Che quest'ultimo sia solo un valore approssimato della radice cercata, Fibonacci non lo dice.

Allo stesso modo, con maggiori complicazioni formali, si calcolano le radici di numeri di più cifre. Per ottenere poi un'approssimazione migliore, Leonardo moltiplica ad esempio per 10000 il numero dato e una volta estratta la radice di questo la divide per 100. Così egli trova 400 0 85 per la radice di 7234.

Dopo una trattazione degli irrazionali quadratici, un tema su cui il Pisano tornerà nel commento perduto al decimo libro degli Elementi di Euclide, si torna al calcolo delle radici, stavolta delle radici cubiche.

All'inizio di questa parte si trova un singolare metodo di moltiplicazione simultanea di tre numeri tra loro, che serve, dice Fibonacci, a calcolare il cubo di un numero. Supponiamo dunque di voler moltiplicare 12×34×56. Si procederà allora moltiplicando 2×4 =8 , e questo per 6, che fa 48. Scritto 8 per le unità, si riporta 4. Si moltiplica ora 8 per il 5 di 56, e fa 40, che aggiunto al 4 dà 44.

Si esegue quindi il prodotto 1×4+2×3= 10 , che moltiplicato per il 6 di 56 dà 60, cui si aggiunge 44 per ottenere le decine 104. Scritto 4 per le decine, si riporta 10. Per trovare le centinaia, si moltiplica 10× 5=50, che aggiunto al riporto 10 dà 60; a questo si aggiunge il prodotto 1×3×6=18, per ottenere 78, di cui si scrive 8 e si riporta 7. Infine 1×3×5+7=22 dà le cifre che restano, e il risultato finale 22848. Si vede subito che il metodo si basa sul fatto che le unità provengono dal prodotto di tutte le unità; le decine dal prodotto di una delle decine per le restanti unità; le centinaia da quello di due decine per le rimanenti unità (e da quello di una delle centinaia, che qui mancano, per le altre unità) e così via. Inutile dire che nella maggior parte dei casi è più conveniente eseguire due prodotti di seguito.

Per quanto riguarda la radice cubica, si comincia col cercare la radice intera, ricordando questa è di una cifra per numeri fino a mille, di due fino a un milione, e così via. Trovata dunque la parte intera a della radice cubica di N, si procede per interpolazione lineare tra a e a+1; si avrà dunque il primo incremento [44]

dato che Fibonacci aveva osservato in precedenza che (a+1)3 èa3 =3a(a+1)+1.

A questo punto interviene una difficoltà legata all'intelligibilità dei numeri frazionari: invece di prendere il valore di x , che in generale sarà dato da una frazione piuttosto complessa, Fibonacci preferisce prendere un numero più semplice, minore di x . Ad esempio, nel calcolo della radice di 47 si avrebbe a=3, Nèa3=47è27=20 e . Invece Fibonacci osserva che 20 è poco più della metà di 37, e prende . Una prima approssimazione è dunque

A questo punto si può procedere a una seconda interpolazione, tra i valori ξ e   4. In realtà, Fibonacci prende come incremento il valore

invece che

commettendo così al denominatore un piccolo errore (la differenza dei denominatori è uguale a , dunque molto piccola) che semplifica i calcoli. Nel caso in esame il numeratore è  e il denominatore  (il valore "esatto" del denominatore è ). Di nuovo Fibonacci osserva che  è quasi la decima parte di 42, e pertanto scrive  al posto del valore trovato, ottenendo la seconda approssimazione . Di qui si può continuare, sempre bilanciando il valore esatto dell'incremento con l'esigenza di semplicità che proviene dalla semplicità delle frazioni [45] . Il capitolo termina con la discussione del prodotto e del quoziente di due radici.


13. Un tema importante dell'algebra medievale: capitali e interessi.

Veniamo così all'ultimo capitolo, nel quale Fibonacci raccoglie le parti più "teoriche" del suo trattato: la teoria delle proporzioni, la geometria e infine l'algebra. Della prima c'è poco da dire, se non che Fibonacci considera solo proporzioni razionali, cioè tra numeri, per i quali si riferisce al settimo libro degli Elementi euclidei:   quattro numeri sono proporzionali se il prodotto degli estremi, cioè del primo e del quarto, è uguale al prodotto dei medi, ossia del secondo e del terzo. Vengono così evitate le sottigliezze del quinto libro degli Elementi, e i problemi affrontati hanno sempre soluzioni razionali, anzi intere.

La sezione di geometria non ha alcuna pretesa di completezza; al contrario, essa tratta solo alcuni problemi particolari. Le ragioni di questa scelta non sono chiare, e in effetti la loro presenza nel Liber Abaci sembra dovuta più al caso che a un programma. Da notare un problema che avrà una notevole influenza sugli sviluppi dell'algebra medievale: quello del calcolo dell'interesse, quando siano noti il capitale iniziale e quello dopo un dato numero di anni. Fibonacci aveva già trattato problemi "diretti" di interessi, problemi cioè nei quali si chiede: quale sarà il capitale dopo un certo tempo, conoscendo il capitale iniziale e l'interesse a cui viene prestato? In genere, gli interessi, o come si diceva: i meriti, venivano capitalizzati alla fine di ogni anno (di qui la locuzione "meritare a capo d'anno"); di conseguenza, indicando con i l'interesse, cioè la frazione di lira che ogni lira guadagnava alla fine dell'anno [46] , i capitali accumulati alla fine di ogni anno formavano una progressione geometrica di ragione 1+i. In realtà, invece che in lire per lira all'anno, che avrebbe dato frazioni di lira spesso incompatibili con la scala monetaria lire-soldi-denari, l'interesse si esprimeva in denari per lira al mese, fermo restando che la capitalizzazione avveniva solo alla fine dell'anno. Siccome 1 denaro per lira al mese fanno 12 denari per lira all'anno, cioè 1 soldo (un ventesimo di lira) per lira all'anno, 1 denaro per lira al mese corrispondeva a un interesse del 5%. Di conseguenza, se l'interesse era espresso in denari per lira al mese, per ottenere il corrispondente fattore i si doveva dividere per 20; ad esempio un capitale prestato a 2 denari per lira al mese si moltiplicava in progressione geometrica di ragione

In questo capitolo Fibonacci si pone il problema inverso: quello cioè di trovare il tasso di interesse noti che siano il capitale iniziale e finale e la durata del prestito. Per risolvere questo problema, Leonardo ricorda che i valori del capitale e degli interessi accumulati negli anni successivi formano una successione geometrica, di cui il capitale iniziale C e quello finale F sono i due estremi. Ne consegue che se il numero degli anni è n, il capitale B dopo il primo anno (cioè la somma del capitale iniziale e degli interessi maturati dopo un anno) è dato da ; sottraendo da questo il capitale iniziale C si ottengono gli interessi maturati in un anno, e dividendo per C si trova   il tasso di interesse

.

La soluzione del problema è ottenuta grazie a una scelta oculata dell'incognita: non l'interesse come è richiesto dal problema, ma il capitale accumulato dopo un anno. Se si scegliesse invece l'interesse x, il capitale accumulato in n anni sarebbe C(1+x)n, e il problema sarebbe ridotto all'equazione

che risolta dà di nuovo il valore . Ad esempio, se un capitale di 1000 lire viene prestato per 3 anni alla fine dei quali è diventato 1331 lire, il tasso di interesse sarà , cioè il 10%.

A prima vista sembra dunque che ambedue le scelte dell'incognita, quella di Fibonacci che prende il capitale accumulato dopo il primo anno, e quella standard che prende il tasso d'interesse richiesto, portino al risultato voluto. C'è però un problema: nel medioevo non esistevano le parentesi, e dunque mancava una notazione come   (1+x)3 per indicare il cubo di 1+x, che invece veniva calcolato esplicitamente per tappe successive. In altre parole, si diceva: dopo il primo anno al capitale C si sono aggiunti gli interessi Cx, e si avrà un capitale complessivo C+Cx. Dopo un anno, a questo capitale si dovranno aggiungere gli interessi maturati Cx+Cx2, e il capitale diventerà C+2Cx+Cx2. Infine, alla fine del terzo anno a questo capitale si aggiungeranno gli interessi Cx+2Cx2+Cx3, e il capitale finale sarà

.

Il problema diventa allora quello di risolvere un'equazione di terzo grado, o in generale di grado pari al numero degli anni in cui   il capitale era stato prestato; equazioni queste che eccedevano le capacità degli algebristi medievali.

In realtà si assiste a un fenomeno più complesso: l'equazione precedente, e quelle di grado superiore che si ottenevano allo stesso modo (nel suo Trattato d'abaco Piero della Francesca arriverà fino al sesto grado), vengono prese come archetipi di equazioni generali dei gradi corrispondenti. La loro soluzione, nota per altre vie (quelle indicate da Fibonacci), poteva servire per congetturare la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado e di grado superiore. Così molti algebristi medievali danno delle formule risolutive delle equazioni di grado superiore al secondo che, sebbene sbagliate nel caso generale, conducono però al risultato corretto quando applicate alle equazioni provenienti da problemi di interessi [47] .


14. L'algebra.

Il Liber Abaci si chiude sulla parte più innovativa della matematica araba, l'algebra, o meglio, come dice Fibonacci, "il metodo dell'algebra e dell'almucabala, ossia della proporzione e della restaurazione". Dei due termini per indicare questa tecnica risolutiva, ambedue derivati dall'arabo, al-jabr (riduzione) e al-muqabala (confronto), solo il primo si è conservato nel linguaggio matematico moderno; l'altro è caduto presto in desuetudine, e già alla fine del Medioevo era inutilizzato.

Seguendo al-Khwârizmî , il cui nome "Maumeht" è segnato in margine del capitolo, per Fibonacci l'algebra consiste nel metodo per la soluzione delle equazioni di primo e di secondo grado, e dall'applicazione di queste ultime alla soluzione di vari problemi. In effetti Fibonacci aveva introdotto occasionalmente metodi algebrici nel corso del volume, ad esempio quando discutendo della doppia falsa posizione aveva accennato a un "metodo diretto degli Arabi", sempre limitandosi alle equazioni di primo grado che lì comparivano; solo ora però affronta sistematicamente le differenti specie di equazioni di secondo grado, dando la soluzione di ognuna di esse.

L'algebra di Fibonacci si divide in due parti: la prima, più breve, a carattere sostanzialmente teorico, nella quale vengono discusse le sei forme dell'equazione di secondo grado, e vengono date le regole per la loro soluzione, insieme alla loro dimostrazione, come in al-Khwârizmî condotta per via geometrica; la seconda, più lunga, nella quale un centinaio di problemi vengono affrontati e risolti mediante l'utilizzo di queste.

Abbiamo parlato di sei forme dell'equazione di secondo grado. Questa molteplicità di casi in quella che oggi vediamo come una sola equazione:

dipende dal fatto che né gli scrittori Arabi né di conseguenza lo stesso Fibonacci prendono in considerazione la possibilità che i coefficienti dell'equazione possano essere nulli o negativi. Pertanto invece di una sola equazione ne abbiamo sei, delle quali tre "semplici", in cui compaiono solo due dei tre termini:

e tre "composte", nelle quali sono presenti tutti e tre i termini:

La soluzione delle prime tre è immediata, mentre più riposta è quella delle altre. In ogni caso, essa è data non con una formula [48] , ma mediante una ricetta verbale, un algoritmo, per calcolarne la soluzione. Vediamo ad esempio l'ultimo caso, quello di "censi e numero uguale a radici".   In primo luogo, Fibonacci prescrive di dividere per i censi, cioè per il coefficiente a di x2, in modo di ridursi al caso di "un censo e numero uguale a radici".   Ciò fatto,

quando avviene che il censo e il   numero sono uguali alle radici, sappi che ciò non si può fare, a meno che il numero sia uguale o minore del quadrato della metà delle radici. E se il numero è uguale, la soluzione è la metà delle radici. Se invece è minore, sottrai il numero dal quadrato della metà delle radici, e sottrai la radice del risultato dalla metà delle radici ... ovvero somma la radice del risultato con la metà delle radici [49] .

In questo modo, Fibonacci trova sia la condizione per l'esistenza di radici reali dell'equazione x2+c=bx, sia le due radici dell'equazione, che in formule moderne si scrivono

e

.

La dimostrazione si basa sulla proposizione 5 del secondo libro degli Elementi di Euclide: se si divide una linea in parti uguali e in parti disuguali, il rettangolo delle parti disuguali, più il quadrato della differenza tra la parte maggiore e la metà della linea, è uguale al quadrato della metà. Nel disegno, se AG è la metà di AB, si ha


                                                                                                                

AD×DB+GD2=AG2.

Fibonacci, che non ha il formalismo dell'algebra letterale, compie la dimostrazione sul caso particolare dell'equazione

x 2 +40=14x.

Si tracci èdice Leonardoè la linea AB=14, e si divida in due parti uguali in G e in due parti disuguali in D [il segmento DB nel caso del segno è o AD in quello del segno + rappresenterà l'incognita x]. Si costruisca su una delle parti disuguali, in primo luogo sulla parte minore, il quadrato DZ, e si prolunghi ZE in ZI uguale ad AB, e si unisca IA.


Siccome la retta ZB è la radice e l'intera AB è 14, la superficie AZ [50] sarà 14 radici del censo DZ. E poiché il censo e 40 sono uguali a 14 radici, il rettangolo AE sarà 40. Ora AE proviene dal prodotto ED×DA, cioè DB×DA; dunque se a questi 40 si aggiunge il quadrato di DG, si avrà [per il teorema citato di Euclide] 49, cioè il quadrato della metà AG. Dunque il quadrato di DG è 9, e la sua radice 3 è la linea GD; se questa si sottrae da GB, viene 4 per la linea DB, che è la radice [51] .

In definitiva, la radice minore si è ottenuta sottraendo il numero (40) dal quadrato della metà delle cose (49), prendendo la radice della differenza (3) e sottraendola dalla metà delle cose. La regola enunciata verbalmente trova dunque la sua dimostrazione geometrica. Allo stesso modo, costruendo il quadrato sulla parte maggiore AD, si ottiene la seconda radice dell'equazione.

Una volta esaurita l'introduzione, inizia una serie interminabile di 96 problemi. Non potendo riportarli tutti, daremo alcune caratteristiche generali.

Una prima osservazione che si impone immediatamente è che ben raramente i problemi proposti da Leonardo hanno rapporto con questioni pratiche, come invece avveniva costantemente nel corso del libro. Al contrario, per la maggior parte i problemi si riducono a quelli "classici", consistenti nel dividere 10 (più raramente 12) in due parti soddisfacenti una condizione data.

Molti di questi problemi si trovano già in al-Khwârizmî; ad esempio il terzo e il nono problema di Leonardo coincidono col secondo e col sesto di al-Khwârizmî.   D'altra parte le questioni affrontate da Fibonacci vanno ben al di là di quelle dell'autore arabo; potendosi a ragione affermare che tali problemi siano per Leonardo, più e al di là del loro contenuto intrinseco, un modello generale delle applicazioni e delle possibilità dell'algebra.   È dunque possibile che la coincidenza sia dovuta più al permanere di una tradizione che a un'influenza diretta di al-Khwârizmî.

Un tratto caratteristico della trattazione di Fibonacci è la mescolanza di algebra e geometria, peraltro già prefigurata nel fatto che esse compaiano congiunte in un unico capitolo. Avevamo già osservato come egli vedesse le equazioni di secondo grado, oltre che da un punto di vista strettamente algebrico, anche come un'applicazione dei teoremi di "algebra geometrica" del secondo libro degli Elementi, in particolare della proposizione II,5.   Ma la relazione tra metodi algebrici e geometrici non si ferma alle questioni fondazionali; la geometria entra anche nel processo della formazione delle equazioni, e non di rado nella loro soluzione. Un esempio tipico è costituito dal problema 56:

Un tale aveva 12 lire di capitale, con le quali ha lucrato un tanto in tre mesi. Al capitale totale ha poi aggiunto 11 lire, e con il complesso ha lucrato allo stesso interesse per un anno. Il guadagno totale dei tre e dei dodici mesi, fu di 9 lire. Si chiede quanto ha guadagnato in un mese per ogni lira [52] .

Qui Fibonacci non prende per incognita l'interesse (mensile o annuale poco importa), in modo che dopo un dato lasso di tempo il capitale sia passato da C a C(1+x), ma bensì il guadagno. Una tale scelta rende difficile confrontare tra loro guadagni fatti da capitali diversi e a tempi diversi, e costringe a ricorrere alla rappresentazione geometrica, alla teoria delle proporzioni, per stabilire l'equazione.


Posto AB=EF=12, e DE=11, sia BC=FG il lucro del capitale AB=12 nei primi 3 mesi, e GH quello del capitale DG (il capitale e il lucro dei primi tre mesi più le 11 lire aggiunte) nell'anno successivo. Sia infine GI=¼ GH. Poiché GH è il lucro del capitale DG in un anno, GI è il lucro dello stesso capitale in tre mesi, e dunque   AB:BC=DG:GI=4 DG:GH. Permutando, 4 DG:AB=GH:BC; e componendo, (4 DG+AB):AB=(BC+GH):BC, da cui (4 DG+AB)× BC=(BC+GH) ×AB. Ora risulta AB=12 e BC+GH=FG+GH=9. Se si pone allora BC=x si ha DG=DE+AB+BC=23+x, e dunque si giunge all'equazione (104+4x) x=108, ovvero x2+ 26 x=27, che ha soluzione x=1.

Il ruolo della geometria è ancora più sensibile quando nelle equazioni da risolvere entrano dei coefficienti irrazionali. Qui giocano due fattori distinti, che rendono la trattazione piuttosto involuta, ma che testimoniano, più che le difficoltà di Leonardo a trattare con radicali (che Fibonacci mostra di padroneggiare completamente), il suo desiderio di introdurre il lettore con una certa gradualità all'uso di espressioni irrazionali. Così anche se Leonardo osserva che  (problema 62: "dalla moltiplicazione della cosa per la radice del   numero viene la radice del censo"), nondimeno sovente tiene le due cose separate, evitando di raccogliere termini in x insieme a termini che contengono ; e addirittura a volte sembra preferire quest'ultima scrittura alla precedente. A queste incertezze nelle operazioni con radici di potenze dell'incognita si aggiunge poi la riluttanza a trattare in maniera uniforme numeri e radici, che ritroveremo più oltre, fino a Piero della Francesca.   Così equazioni a coefficienti irrazionali, ancorché riducibili alle classi elencate all'inizio, vengono discusse ricorrendo sistematicamente alla rappresentazione geometrica.

Un tipico esempio è dato dal problema 57. Nel primo si tratta di trovare "un numero che moltiplicato per sé stesso e per la radice di 10, [la somma dei due prodotti] faccia nove volte lo stesso numero" [53] , un problema che conduce immediatamente all'equazione , ovvero dividendo per x all'equazione , che ha soluzione . Invece Fibonacci costruisce un quadrato DB, che ha come lato il numero incognito, a cui aggiunge il rettangolo EG, di base BG= .


A questo punto osserva che il rettangolo DG risultante è uguale a 9 AD, da cui segue che AG=9, e in conclusione AB .

Questa commistione tra algebra e geometria, quasi a ricondurre l'uso delle notazioni algebriche sotto il rigore della geometria, è una delle caratteristiche del trattato di Fibonacci. Più avanti, nei secoli successivi, questo legame verrà progressivamente meno, e l'algebra tenderà sempre più a diventare una scienza autonoma.

Un secondo tratto caratteristico dell'algebra, ma si dovrebbe dire piuttosto del Liber Abaci, è la sistematicità. Nel nostro caso, è evidente lo sforzo di Fibonacci per ricondurre costantemente i problemi considerati nell'ambito delle sei classi di equazioni trattate all'inizio, evitando il proliferare di sottocasi. Così egli tratta le equazioni biquadratiche semplicemente prendendo come incognita il censo: "prendi come cosa il censo" [54] ; e non esita a dividere per l'incognita se si giunge a un'equazione di terzo grado senza termine noto: "dividi tutto per la cosa" [55] . Ancora una volta, gli autori successivi considereranno questi e moltissimi altri come tipi differenti di equazioni, giungendo fino all'elencazione di 60 e più tipi di equazioni [56] .

Anche e forse più interessanti sono l'uso di incognite ausiliarie (oltre a "res", "denarius" [57] ), o la mistura di algebra e falsa posizione nel problema 86 [58] .

Da notare tra gli altri il problema 88 [59] , che consiste nel dividere 10 in due parti a e b, tali che . Qui Fibonacci suggerisce di porre a=2-x e b=8+x (in modo che la somma faccia 10), ottenendo l'equazione (2-x)(8+x)=16, che ha come soluzione x=0. Ora se è vero che 0 non è la soluzione del problema (le due parti sono 2 e 8), ma di un'equazione ausiliaria, è però raro trovare un'equazione con una soluzione nulla.

Infine, un rapido cenno sulle fonti di Fibonacci. Come abbiamo più volte osservato, la maggior parte di quanto contenuto nel Liber Abaci proviene da fonti arabe, e d'altra parte lo stesso Leonardo è esplicito nel dichiarare questa dipendenza: l'importanza dell'opera non risiede nella sua originalità, che se pure c'è è senz'altro limitata a piccole parti, ma nel raccogliere e rendere disponibile nell'Occidente latino una Summa del sapere aritmetico arabo.   Si tratta, è il caso di metterlo in rilievo, della parte più elementare della matematica elaborata dagli autori islamici: non solo mancano tutte le ricerche sulla geometria "archimedea", che tanta parte hanno avuto nel progresso della matematica araba del X   e XI secolo, ma anche la trattazione strettamente algebrica e aritmetica, più che agli autori più recenti e avanzati come al-Khayyâm o al-Karaji, si rifà a una tradizione più antica, quella per l'appunto di al-Khwârizmî o Abû Kâmil. Il primo grande matematico dell'Occidente latino si presenta non solo in aritmetica ma anche in algebra e in teoria dei numeri, come portato dalla corrente della matematica araba dei secoli IX-X [60] .


15. Fortuna del Liber Abaci.

Un libro complesso e difficile come il Liber Abaci, per di più immerso in una cultura matematica estremamente arretrata e quindi incapace di comprendere appieno, meno che mai di padroneggiare, l'enorme mole di metodi e di problemi che conteneva, richiese naturalmente un tempo notevole prima di dare i suoi frutti. Né maggiore fu l'impatto immediato delle applicazioni commerciali in esso contenute, ché a un uso strumentale si opponeva la mole e il livello della trattazione, propri più di un testo teorico che di un manuale di ricette pratiche. Basti dire che ancora nel tardo Duecento si registrava una certa opposizione, proprio da parte della classe mercantile, all'uso delle cifre arabe, come ardue da assimilare e suscettibili di manipolazioni non sempre controllabili. Benché la concessione di una pensione a Fibonacci da parte del Comune di Pisa testimoni un interesse della collettività per l'attività di insegnamento e di consulenza del Pisano, bisognerà aspettare l'ultima parte del secolo per avere dei riscontri concreti dell'influenza di Leonardo sullo sviluppo della matematica in Italia, riscontri quasi sempre connessi con le prime attività di quelle scuole d'abaco che dovevano esplodere nel secolo successivo, e alla cui attività è da ascrivere la formazione di una cultura matematica diffusa in primo luogo in Italia, ma in generale nell'Europa occidentale.

Eppure è proprio dall'espandersi delle dimensioni delle imprese commerciali, e dalle conseguenti necessità contabili, che vengono le motivazioni per la diffusione, se non del Liber Abaci in quanto tale, certamente delle tecniche e delle notazioni innovative che conteneva.

Agli inizi il mercante viaggiava assieme alle sue merci, che commerciava spostandosi da una piazza all'altra. L'espandersi e l'intensificarsi dei traffici portarono in breve ad aziende che dal centro governavano estese reti anche di decine di rappresentanti residenti nelle diverse città, mentre l'aumentare del volume dei prodotti trattati e del loro valore impose il ricorso alla costituzione di società o compagnie, non solo unifamiliari e per un singolo negozio, ma pure aperte a estranei e attive per periodi di tempo più o meno lunghi.

Il controllo di queste reti commerciali, benché gli agenti avessero una notevole autonomia per la necessità di prendere decisioni rapide specie in rapporto alla lentezza delle comunicazioni, era tenuto attraverso l'adozione di una contabilità uniforme e attraverso scambi fittissimi di corrispondenza, assicurati da appositi servizi postali gestiti in proprio dalle stesse corporazioni di mercanti. Per posta erano trasmesse le istruzioni circa la conduzione degli affari, e scambiate informazioni sull'andamento dei mercati, sulle previsioni economiche, sul corso dei cambi e sulle quotazioni delle merci, sugli arrivi e le partenze delle navi.

L'altro pilastro su cui si reggevano le aziende commerciali era un collaudato sistema di contabilità che la pratica aveva sempre più perfezionato.

Agli inizi, infatti, le scritture contabili erano semplicemente un aiuto per la memoria, mentre con lo svilupparsi delle attività divennero un indispensabile strumento di gestione, sempre più raffinato e funzionale. E se, come si è detto, per un certo periodo prevalse la diffidenza riguardo alle nuove notazioni, ben presto i mercanti si convinsero dell'utilità di tenere sistematicamente per iscritto la loro contabilità: la mercatura fu così avviata a divenire l'unica professione non dotta che imponeva a chi l'esercitava la pratica assidua della scrittura. L'uso di registrare in modo regolare e completo i fatti dell'impresa si diffuse talmente che già nel Trecento si riconobbe ai libri contabili il valore di prove in giudizio. Contemporaneamente essi andavano assumendo funzioni e caratteri specifici: accanto alla prima registrazione per memoria, comparve il giornale con la scrittura quotidiana in successione cronologica delle operazioni, e poi il libro mastro , dove a ogni corrispondente abituale era riservato un suo conto apposito, diviso in dare e avere; si aggiunsero altri quaderni particolari relativi ai beni patrimoniali e strumentali, alle merci, ai soci.

La diffusione delle cifre arabe e dei corrispondenti metodi di calcolo avviene in gran parte attraverso istituzioni forse uniche nella storia d'Europa: le scuole d'abaco. Queste fioriscono, a partire dal tardo tredicesimo secolo, soprattutto nei centri più attivi economicamente, dove le attività mercantili si consolidano e si espandono, dando luogo a una opulenta borghesia commerciale, che non tarderà di lì a poco di rivendicare per sé il controllo politico delle repubbliche. I nuovi mercanti gestiscono ormai società complesse, vere e proprie multinazionali del commercio, che non possono più essere rette con metodi di contabilità casalinghi, ma che richiedono invece la conoscenza di procedimenti matematici che sebbene teoricamente elementari, vanno notevolmente al di là del semplice far di conto. Occorre infatti che il mercante conosca i cambi delle monete e sappia destreggiarsi tra i diversi tipi di pagamento, che sappia calcolare il valore delle merci offerte in cambio delle proprie, che sia in grado di dividere equamente gli utili della società tra i vari soci, che possa valutare l'accumulazione del capitale dato o preso in prestito.

Attorno alle scuole d'abaco fiorisce un'attività sistematica di produzione di testi e manuali, in molti dei quali è evidente l'influenza del Pisano. A volte si tratta di vere e proprie volgarizzazioni delle sue opere, facilitate con l'eliminazioni delle parti più astratte e teoriche; in altri casi l'autore si limita a scavare nella miniera di esempi e problemi del Liber Abaci,   per trarvi materiale da inserire nel proprio trattato. In ogni caso, Fibonacci è sistematicamente ricordato come l'iniziatore della moderna matematica in Occidente.

Per un lungo periodo dalla pubblicazione del Liber Abaci tutti questi testi si situano a un livello molto più elementare del loro modello;   ma l'affinarsi delle conoscenze matematiche èdovuto in gran parte all'assimilazione degli scritti di Leonardoè permette la composizione di opere di più ampio respiro, che se non alla pari, possono comunque gareggiare con l'opera del Pisano per mole e per quantità di conoscenze. I grandi trattati d'abaco quattrocenteschi sono forse le ultime opere in cui l'influenza di Fibonacci è presente e riconosciuta.

L'invenzione della stampa cambia radicalmente questa situazione. Fino alla metà del Quattrocento la trasmissione e la diffusione del sapere erano assicurate dalla scrittura a mano delle opere, compiuta direttamente dagli studiosi o da scribi di professione: tale lavoro richiedeva molto tempo e comportava il rischio di numerosi errori; inoltre i manoscritti erano molto cari, per cui la cultura era limitata a un numero ristretto di persone.

L'invenzione della stampa a caratteri mobili, compiuta verso la metà del XV secolo da Johan Gutemberg e dai suoi associati, cambiò radicalmente i modi di produzione e di diffusione della cultura. Il nuovo ritrovato, che moltiplicava anche i vantaggi economici dell'adozione della carta come materiale di supporto rispetto alla pergamena, provocò un'autentica rivoluzione nella circolazione delle idee: la rapidità di esecuzione di un gran numero di copie abbassava drasticamente il prezzo dei libri, rendendoli accessibili a un più vasto pubblico; l'accertamento della correttezza dei testi sulla composizione assicurava il medesimo uniforme livello di attendibilità per ciascun esemplare; la bontà delle illustrazioni, particolarmente importante per le opere scientifiche, era garantita in ogni copia dall'accuratezza di esecuzione delle matrici.

Il libro a stampa ebbe un enorme immediato successo, tanto che già prima del 1480 le tipografie erano presenti in quasi tutta l'Europa. La diffusione dei volumi avveniva tramite le consuete vie commerciali insieme alle altre merci; anche per questo, tra i centri più attivi almeno fino all'inizio del Cinquecento, si colloca Venezia, primo stato a concedere agli editori il "privilegio" di esclusiva per la stampa. Dei circa 5500 titoli stampati in Italia entro il 1500 èi cosiddetti incunaboliè, 300 furono pubblicati a Firenze, 800 a Milano, 900 a Roma e quasi 3000 a Venezia. Qui la stampa compì fondamentali progressi tecnici nell'impiego delle illustrazioni incise in legno, nonché nel disegno dei caratteri e nella scelta del formato dei libri, specialmente ad opera di Aldo Manuzio; fu stampato il primo frontespizio che segnò la definitiva separazione del libro stampato dal manoscritto; furono prodotte opere di altissimo livello estetico per impaginazione, caratteri e ornamentazione.

All'incirca fino al 1500 i tipografi pubblicarono soprattutto opere della tradizione culturale sacra e profana medievale, nonché pochi minimi testi di carattere popolare per la scuola, la devozione, le attività pratiche e lo svago. Le scelte erano evidentemente determinate da realistiche decisioni economiche nei confronti delle quali avevano poco peso le motivazioni di carattere culturale: il tipografo decideva da solo, soprattutto in base alla constatazione che la quasi totalità dei potenziali acquirenti del libro a stampa èla cui ambizione al momento era solo quella di sostituire il manoscrittoè aveva una formazione e sentiva esigenze che trovavano senz'altro riscontro in quella tradizione di sapere. Il cambiamento di indirizzo, che alla fine terrà conto del rinnovamento umanistico, si verificherà per gradi soprattutto nel Cinquecento. Tra le edizioni quattrocentesche, per quanto riguarda le scienze, sono preminenti le opere di medicina e di astrologia, i manuali divulgativi sugli stessi argomenti, i calendari, le tavole di calcoli fatti, gli erbari e i lapidari; gli Elementi di Euclide, nella traduzione latina dall'arabo rielaborata del Campano, sono il primo testo capitale della scienza classica ad essere stampato a Venezia nel 1482.

Come spesso avviene, non tutti si accorgono delle immense possibilità offerte dal nuovo mezzo, che anzi talvolta viene considerato un impoverimento rispetto alla nobiltà del codice manoscritto; non di rado poi erano gli stessi autori a guardare con una certa diffidenza e con poco gradimento alla circolazione indiscriminata delle proprie opere che la stampa necessariamente comportava.

D'altra parte, come tutte le rivoluzioni, anche quella incruenta di Gutemberg taglia netto tra il passato e il futuro. Chi non si rende conto del nuovo è condannato ad essere dimenticato per secoli, e le sue opere a rimanere sepolte negli archivi, quando non ad essere cannibalizzate dai nuovi signori della cultura, che le inseriranno nei loro scritti senza neanche rammentarne gli autori. Così già alla fine del Cinquecento gli autori che avevano preceduto l'invenzione della stampa, o che non si erano avvalsi dei questo mezzo per la diffusione delle proprie opere, scompaiono dalla coscienza storica dei loro successori; tre secoli di storia scientifica si fondono in un abisso informe e senza luce.

A questo destino non sfugge nemmeno Fibonacci, la cui opera, che aveva rappresentato durante tutto il Medioevo un costante punto di riferimento, era destinata a rimanere manoscritta e ad essere sostituita da altri testi, in particolare dalla Summa de Arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità di Luca Pacioli. E se nel Cinquecento Fibonacci è ancora presente èBombelli lo nomina nella sua Algebra insieme a Pacioli, Commandino progettava di pubblicare la Practica Geometriaeè, nel secolo successivo anche la memoria di Leonardo Pisano svanisce, o quanto meno si attenua dando luogo a una serie di equivoci anche relativamente al secolo in cui era vissuto. Dovrà passare molto tempo prima che a Fibonacci venga rassegnato il posto che gli spetta nella storia della matematica europea.



[1] Per notizie biografiche più dettagliate, resta tuttora essenziale la lettura del volume di B. Boncompagni, Intorno ad alcune opere di Leonardo Pisano, matematico del secolo XIII, Roma, Tipografia delle Belle Arti, 1854. Si veda anche C. Maccagni: Leonardo Fibonacci e il rinnovamento delle matematiche, in "L'Italia e i paesi mediterranei", Nistri-Lischi e Pacini, 1988.

[2] Che il padre di Leonardo si chiamasse Guglielmo e non Bonaccio, come per molto tempo si era creduto e a volte si sostiene tuttora, è dimostrato da un atto notarile datato 28 Agosto 1206, nel quale è parte in causa "Leonardo bigollo quondam Guilielmi". L'atto è pubblicato in G. Milanesi, Documento inedito e sconosciuto intorno a Lionardo Fibonacci, Giornale Arcadico, CXCVII (1867).

[3] Non però, si deve presumere, all'estensore del documento, che scrive il numero XX in cifre romane. Per il testo del documento si veda il contributo di E. Ulivi, S cuole e maestri d'abaco in Italia tra Medioevo e Rinascimento , in questo volume.

[4] Scritti di Leonardo Pisano. Volume II, Pratica Geometriae ed Opuscoli, Roma, Tipografia delle scienze matematiche e fisiche, 1862, p. 253. Il primo volume con il Liber Abaci era apparso nel 1857. Tutte le traduzioni sono mie.

[5] Scritti di Leonardo Pisano. Volume I, Liber Abaci. Roma, Tipografia delle scienze matematiche e fisiche, 1857.

[6] Histoire des Sciences Mathématiques en Italie, Paris, Renouard, 1838, vol. II,   pp. 287-476.

[7] Per la precisione, ogni pagina contiene 43 righe di circa 65 caratteri ognuna, spazi esclusi.

[8] Per dare un'idea del linguaggio di Fibonacci, riportiamo l'indice del trattato nel latino originale: 1. De cognitione novem figurarum yndorum, et qualiter cum eis omnis numerus scribatur; et qui numeri, et qualiter retineri debeant in manibus, et de introductionibus abbaci. 2. De multiplicatione integrorum numerorum. 3. De additione ipsorum ad invicem. 4. De extractione minorum numerorum ex maioribus. 5. De divisione integrorum numerorum per integros. 6. De multiplicatione integrorum numerorum cum ruptis atque ruptorum sine sanis. 7. De additione ac extractione et divisione numerorum integrorum cum ruptis atque partium numerorum in singulis partibus reductione. 8. De emptione et venditione rerum venalium et similium. 9. De baractis rerum venalium et de emptione bolsonalie, et quibusdam regulis similibus. 10. De societatibus factis inter consocios. 11. De consolamine monetarum atque eorum regulis, quae ad consolamine pertineant. 12. De solutionibus multarum positarum quaestionum quas erraticas appellamus. 13. De regula elcataym qualiter per ipsam fere omnes erraticae quaestiones solvantur. 14. De reperiendis radicibus quadratis et cubicis ex multiplicatione et divisione seu extractione earum in se, et de tractatu binomiorum et recisorum et eorum radicum. 15. De regulis proportionibus geometriae pertinentibus: de quaestionibus aliebrae et almuchabalae.

[9] Liber Abaci, p. 14.

[10] Summa de Arithmetica, Geometria, Proporzioni et Proporzionalità. Venezia, Paganini, 1494.

[11] Regoluzze, secondo la lezione del codice 2511 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, a cura e con introduzione di G. Arrighi. Azienda autonoma di turismo di Prato, 1966.

[12] La rappresentazione decimale dei numeri fratti è stata introdotta alla fine del Cinquecento da Simon Stevin.

[13] Liber Abaci, p. 24.

[14] Si ricordi che, come abbiamo già osservato, l'ordine procede all'uso arabo da destra a sinistra.

[15] Liber Abaci, p. 24

[16] È invalso l'uso di chiamare queste frazioni multiple "frazioni continue ascendenti". Poiché non mi pare un termine molto felice, preferisco quello più neutro di frazioni multiple.

[17] Trattato d'Aritmetica , Venezia 1726, p. 37.

[18] Liber Abaci, p. 24.

[19] Ivi, p. 50.

[20] Insistiamo sul fatto che la ricetta di Fibonacci dà approssimazioni solo in genere più precise; a volte può accadere che ciò non sia vero, e che si abbia una migliore approssimazione procedendo alla rovescia.

[21] G. M. Figatelli, Trattato d'Aritmetica , Venezia 1726, p. 37.

[22] Hisâh al-jabr wal-muqâbala (Scienza della riduzione e del confronto) Traduzione latina, pubblicata da G. Libri, Histoire des Sciences Mathématiques en Italie, cit., vol. I, pag. 276.

 

22 Il papiro Rhind ha avuto varie edizioni, la più recente delle quali è quella di G. Robins e C. Shute, The Rhind Mathematical Papyrus, an ancient Egiptian text, New York, Dover, 1987.

[24] Come è noto, a parte la frazione 2/3, gli egizi scrivevano solo frazioni con numeratore unitario; di qui la necessità di esprimere tramite queste ultime le altre frazioni.

[25] Liber Abaci, p. 78.

[26] Liber Abaci, p. 81. Ad esempio, la frazione , che non rientra in nessuno dei casi precedenti, si può scomporre con questo metodo, ottenendo . Si noterà che questa è appunto la scomposizione di  riportata nella tabella.

[27] Ivi, p. 82.

[28] Ivi, p. 83.

[29] Liber Abaci, p. 309.

[30] In totale, una nave siffatta contiene circa 12 miliardi di chicchi di grano.

[31] Per un errore di calcolo o di trascrizione il testo porta 1725028445.

[32] Liber Abaci, p. 310.

[33] A queste si dovranno aggiungere il sestario, composto di 140 libbre, e il moggio, che contiene 24 sestari, che Fibonacci usa nel problema della scacchiera.

[34] Liber Abaci, p. 111-2.

[35] Liber Abaci, p. 118.

[36] Ivi, p. 135. Da notare che, conformemente all'uso arabo, i numeri vengono scritti da destra verso sinistra.

[37] Dato che una libbra contiene 12 once, il titolo 12 corrisponde a una moneta di argento puro, mentre 0 è il titolo di una moneta di rame. In genere il titolo di una moneta è un numero intermedio tra questi casi estremi.

[38] Liber Abaci, p. 144.

[39] Liber Abaci, p. 283

[40] Ivi, p. 284.

[41] Liber Abaci, p. 329.

[42] Ivi, p. 336.

[43] Si noti che in ogni caso si è preso un multiplo di 4, cosa che ovviamente facilita i calcoli.

[44] Come ha osservato R. Rashed (Fibonacci e la matematica araba, in "Federico II e le scienze", a cura di P. Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo, Sellerio, 1994) questo metodo di approssimazione è molto diffuso nella matematica araba, al punto che matematici come Nasir al-Din al-Tusi lo chiamano "il metodo tradizionale".

[45] Liber Abaci , p. 380.

[46] Ad esempio, un interesse del 5% significa che ogni lira guadagna 0,05 lire all'anno; e quindi i=0,05.

[47] Su questo tema si può vedere il mio L'algebra nel Trattato d'abaco di Piero della Francesca: osservazioni e congetture, Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche XI (2) (1991) pp. 55-83.

[48] Peraltro anche l'equazione non era scritta in termini algebrici, ma enunciata verbalmente. In questa formulazione, il termine x2 era chiamato "censo" (una traduzione dall'arabo mal, tesoro), il termine x "radice" o "cosa", e il termine noto "numero". Così ad esempio all'equazione ax2+bx=c ci si riferiva come al "capitolo di censi e cose uguale a numero", il plurale stando a indicare la presenza dei coefficienti a e b.

[49] Liber Abaci,p. 409.

[50] Come d'uso, Fibonacci indica un rettangolo mediante due soli vertici contrapposti.

[51] Liber Abaci, p. 409.

[52] Liber Abaci , p. 425.

[53] Ivi, p. 426.

[54] Liber Abaci, p. 422

[55] Ivi, p. 445.

[56] Si veda ad esempio Piero della Francesca, Trattato d'abaco, a cura e con introduzione di G. Arrighi. Pisa, Domus Galilaeana, 1970.

[57] Liber Abaci, p. 435.

[58] Ivi, p.   448-451

[59] Ivi, p. 454-455.

[60] R. Rashed, Fibonacci e la matematica araba, cit.