Il giardino di Archimede
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 Un museo per la matematica
Un ponte sul Mediterraneo
Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente
 

 
 
 

Pisa e il Mediterraneo all'epoca di Fibonacci.

Marco Tangheroni

1. Il Mediterraneo intorno al 1180

Verso la fine del XII secolo il Mediterraneo aveva recuperato una antica centralit nel sistema economico e delle relazioni internazionali. Come scriverà qualche decennio dopo il domenicano genovese Giovanni Balbi nel suo Catolicon, esso veramente appariva il centro del mondo, medium terre tenens. Su di esso si affacciavano e tramite esso si incontravano e si scontravano tre "mondi" culturalmente diversi: quello cristiano latino, quello cristiano greco e quello musulmano.

Le loro relazioni reciproche sembravano essersi stabilizzate intorno alla metà del secolo, dopo che per centocinquanta anni violenti contrasti avevano radicalmente modificato i rapporti di forza e il quadro geopolitico. Pisa e Genova, dopo avere restituito al controllo cristiano il Mediterraneo occidentale, si accontentavano delle posizioni commerciali acquisite nelle ricche piazze portuali e commerciali dell'Africa settentrionale; e, del resto, erano ormai impegnate nel conflitto tra loro per la supremazia in Corsica, in Sardegna, sul mare. Pisa, dopo la grande spedizione balearica del 1113-1115, e Genova, dopo la partecipazione alla riconquista di Almeria e Tortosa (1147-1148) sulle coste iberiche, avevano abbandonato ogni iniziativa militare organizzata; quando fu loro proposto di entrare in una coalizione cristiana finalizzata alla riconquista di Maiorca, esse rifiutarono. Per quanto gli accordi conclusi con i vari stati islamici avessero formalmente il carattere di "tregue" e non di vere e proprie paci, essi erano normalmente rinnovati con regolarità. Come vedremo esaminando, pi oltre, un episodio particolare dei rapporti pisano-tunisini, le relazioni umane erano spesso cordiali, anche se i cristiani abitavano in loro quartieri, con chiesa, forno, bagni, case e magazzini. Naturalmente, la pirateria e la guerra di corsa è un male endemico, come è stato detto, del Mediterraneo è si facevano continuamente sentire, e non solo tra navi di religioni diverse; esse erano una delle due componenti della "fortuna di mare", l'altra essendo costituita dalle insidie naturali della navigazione.

Il quadro politico ed economico del Mediterraneo occidentale, per quanto riguarda i paesi cristiani, va completato ricordando la fioritura economica e culturale di molti centri della Linguadoca e della Provenza, di fatto, talora anche di diritto, ancora sostanzialmente indipendenti dalla autorità del regno di Francia. Montpellier, Narbona, Saint Gilles, Arles, Nizza e soprattutto Marsiglia erano in forte crescita come porti e come città mercantili. Anche qui Pisa e Genova si fronteggiavano cercando di escludersi a vicenda;e tuttavia la loro azione svolgeva un'azione stimolante sull'economia di questi centri.

Ugualmente in forte crescita erano Barcellona e la marineria catalana, pur ancora caratterizzata dal piccolo tonnellaggio delle imbarcazioni, sufficiente alle prospettive ancora essenzialmente ristrette al cabotaggio costiero; le direttrici dell'espansione catalano-aragonese (i conti di Barcellona erano diventati, per via matrimoniale, anche re d'Aragona) apparivano ancora incerte tra una direttrice ultrapirenaica, una peninsulare, una anti-islamica.

Il mondo musulmano, dal canto suo, aveva conosciuto la grande espansione degli Almohadi, dinastia e movimento politico-religioso di origini berbere, caratterizzati da un atteggiamento rigorista contro cristiani ed ebrei; vinta la resistenza delle tribù arabe, cacciati i normanni dalle coste africane, essi dettero dal 1160 unità politica al Maghreb, per la prima ed unica volta nella sua storia. Essi riportarono anche alcuni successi nella penisola iberica imponendo battute d'arresto al processo della Reconquista.

La Sicilia normanna, mentre si apriva al popolamento di lombardi e toscani, conservava tutta l'importanza commerciale e strategica dettata dalla sua posizione geografica; ma i disordini che caratterizzarono il Regno negli ultimi decenni della dinastia normanna posero fine alla politica di espansione mediterranea perseguita in precedenza.

Nel Mediterraneo orientale, l'impero bizantino aveva ormai perso da tempo l'Asia minore, ma conservava, intorno alla grande Costantinopoli, una rete commerciale e marittima. I veneziani vi avevano da tempo una sorta di monopolio del commercio internazionale; anche per alleggerirne la pressione, gli imperatori cominciarono a concedere privilegi ed insediamenti pure a genovesi e pisani. Nel 1171 Manuele Comneno fece arrestare tutti i veneziani confiscandone i beni, il che provocò a Venezia tumulti che portarono all'assassinio dello stesso doge. Nella popolazione della capitale dell'impero, d'altronde, si diffondeva un clima violentemente ostile ai "latini"; nel 1182 un'ondata di moti xenofobi si scatenò a Costantinopoli: massacri e saccheggi suesta volta riguardarono tutti i latini e non soltanto i residenti veneziani.Solo nel 1185 fu stipulato un accordo, in funzione antinormanna, tra Venezia e Bisanzio, che non impedì altri tumulti antilatini, collegati ai contrasti interni all'impero.

Il regno di Gerusalemme e gli altri stati franchi nati con la prima crociata erano sottoposti ad una duplice pressione islamica: da parte dell'emirato turco selgiuchide e da parte dell'Egitto fatimita. Ma sul mare le flotte di Venezia, Genova e Pisa mantenevano una netta supremazia, nonostante la prevalente mancanza di azioni unitarie. L'Egitto, con la grande metropoli marittima di Alessandria e con la fiorente capitale e i porti del litorale siro-palestinese erano centri nodali del grande commercio marittimo. Le proibizioni pontificie circa l'esportazione nei paesi islamici di legname e ferro erano assai poco osservate.


2. Decenni di grandi cambiamenti

Il quadro sinteticamente tracciato sembrava, nonostante certi precari equilibri, appariva comunque relativamente stabile. Invece, nel giro di poco meno di mezzo secolo, si verificarono alcuni eventi che provocarono un radicale cambiamento della situazione del Mediterraneo.

Nello scacchiere orientale, il Saladino, signore dell'Egitto, riorganizzò le forze musulmane e, inflitta all'esercito crociato una terribile sconfitta ad Hattin, riconquistò Gerusalemme (1187). La caduta della Città Santa provocò una generale reazione in Occidente. Alla crociata, predicata dai pontefici, insieme all'invito ad una autentica conversione della cristianità (le sconfitte essendo attribuite all'indebolimento della fede), aderirono i tre maggiori sovrani dell'Occidente: l'imperatore Federico I Barbarossa, il re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e il re di Francia Filippo Augusto. Ma, nonostante l'ampiezza della mobilitazione, i risultati di questa "terza crociata" furono modesti, anche perché il Barbarossa annegò prima di arrivare in Terrasanta. La riconquista di Acri fece di questa città la capitale effettiva ed il centro economico principale di un regno di Gerusalemme ridotto ad una sottile fascia costiera. Le città marinare italiane, divenute essenziali per assicurare i rifornimenti ed i collegamenti, ottennero proprio allora i privilegi più ampi nei centri marittimi di Terrasanta.

Per recuperare Gerusalemme ed il Santo Sepolcro venne organizzata una nuova crociata, la quarta. Essa doveva partire da Venezia nel 1202, giacché la repubblica veneta si era impegnata ad allestire una grande flotta per il trasporto via mare dell'esercito crociato. Poiché, però, il numero dei partecipanti, inferiore al previsto, non permetteva loro di pagare il debito contratto con Venezia, una buona parte di essi si lasciò convincere dal vecchio doge Enrico Dandolo prima a conquistare Zara, città postasi sotto l'alto patronato dell'Ungheria, il cui regno comprendeva la Croazia, nel tentativo di rendersi autonoma dalla Serenissima. Zara si arrese rapidamente nel novembre 1202, mentre Innocenzo III condannava il comportamento dei crociati, colpevoli di avere attaccato una città cristiana. Poiché il piano segreto iniziale, che prevedeva un attacco all'Egitto, non appariva più perseguibile, i crociati si fecero guidare da Venezia all'assedio stesso di Costantinopoli, con la speranza di imporvi un pretendente favorevole ai latini. Ma nella capitale prevalse una fazione decisa a difendere la libertà dell'impero e della chiesa greca; conquistata dopo accaniti combattimenti, fu, per tre giorni, sottoposta a saccheggio (aprile 1204), con un bottino di 400.000 marchi e 10.000 armature. I veneziani si videro saldato il debito, oltre alla metà del bottino, nella quale compresero i quattro cavalli di bronzo dello stadio di Costantinopoli, da allora sulla facciata di San Marco. Niceta Coniate commentò, amaramente, che i latini si erano comportati peggio del Saladino quando aveva conquistato Gerusalemme.

Nacque allora l'Impero Latino d'Oriente, sul cui trono saliva Baldovino di Fiandra; gran parte del territorio imperiale venne suddiviso in feudi, mentre Venezia otteneva, oltre a Creta e a tutto un sistema di castelli lungo le coste e nelle isole, l'allontanamento delle navi e dei mercanti di altra bandiera. Questo impero ebbe però vita breve e tormentata. Nuclei rimasti greci lo minacciarono, finché, da Nicea, con l'appoggio di Genova, partirà il movimento che portò alla restaurazione dell'impero greco (1261). Trent'anni ancora e la caduta di Acri segnerà la fine di ogni presenza politica cristiana in Terrasanta.

Nel frattempo era fallita anche la quinta crociata (1217-1221). L'imponente spedizione, promossa dal papa Innocenzo III, attaccò l'Egitto ed ebbe anche iniziali incoraggianti successi: presa di Damietta nel 1219. Ma i dissensi tra i crociati e la scarsa capacità di guida dei capi li portò a capitolare essendo stati sconfitti presso il Cairo. Alla metà del secolo XIII fallirà ugualmente la crociata guidata in Egitto dal re di Francia Luigi IX: il re fu fatto prigioniero e per lui fu pagato un ingente riscatto. Ma già in Oriente si facevano sentire gli effetti della rapida avanzata dei Mongoli.

Se, dunque, pur diviso, innanzi tutto tra arabi e turchi, il mondo islamico appare all'offensiva, anche se incapace di recuperare competitività sui mari, nel mediterraneo occidentale la bilancia si spostava in altro senso. Nel 1212 le armate dei regni iberici cristiani riportarono una grande vittoria a las Navas de Tolosa. Se i vantaggi territoriali immediati furono limitati, l'esito dello scontro avviò, di fatto, la crisi dell'impero almohade, scosso, oltre che dalle lotte dinastiche, dalle rivolte antiberbere degli arabi spagnoli.

Nel Mediterraneo manifestava la sua forza una nuova potenza marittima, quella catalana. Maiorca venne conquistata e catalanizzata (1229-1230) dal re Giacomo I d'Aragona. Poi fu la volta del regno di Valencia, la cui conquista fu completata nel 1238. Poco dopo i casigliani del re Ferdinando III arriveranno ad impadronirsi della più ricca e grande città Andalusa, Siviglia (1248).


3. Pisa nel Mediterraneo

Di questa storia del Mediterraneo, della quale abbiamo richiamato nelle linee essenziali permanenze ed eventi, Pisa fu protagonista attiva e certo non secondaria.

Per convincersene basterà qui ricordare i trattati diplomatici conclusi da Pisa con realtà politiche mediterranee tanto cristiane quanto musulmane e scambi epistolari sopravvissuti, anche limitandosi a quelli che ci sono giunti, dopo tormentate vicende archivistiche, nell'archivio di stato di Pisa (in buona parte editi nell'Ottocento da Michele Amari, con riferimento al "regio archivio fiorentino", dove erano allora conservati).

Il più antico rimastoci è del 1149, ed è un accordo di pace e di commercio col re musulmano di Valencia, Una prova della scelta "pacifica" fatta ormai da Pisa. L'interesse era reciproco: ci è giunta, in arabo e in latino, una lettera del 1157 scritta dal re di Tunisi all'arcivescovo, ai consoli, ai maggiorenti e al popolo tutto di Pisa, con la quale egli prometteva la liberazione dei pisani schiavi e un favorevole trattamento doganale. Del resto, sappiamo di una ambasceria fatta nel 1184 al re di Maiorca, con le spese almeno in parte anticipate al comune dai consoli dell'Ordine del Mare. L'ambasceria portò ad un trattato che garantiva la sicurezza delle navi e degli uomini di Pisa e di Lucca.

Naturalmente, come si è accennato, continuava dall'una e dall'altra parte ad essere praticata la pirateria. Nel 1180, essendo una nave pisana catturata presso Tripoli, ed essendo stati ridotti in schiavitù coloro che eranoa bordo, l'arcivescovo e i consoli di Pisa intervennero presso il califfo almohade chiedendo la liberazione dei prigionieri e la restituzione della nave. Pochi giorni dopo, forse per un'ambasceria che doveva discutere i diversi problemi, gli stessi scrivevano al califfo per l'eliminazione di ostacoli che venivano frapposti al commercio dei mercanti pisani a Bugia. Si noti che l'arcivescovo non aveva, e non aveva mai avuto, poteri istituzionali o giurisdizionali in Pisa; ma evidentemente si riteneva che l'affiancare alle firma delle massima autorità civili anche quella del presule cittadino avesse una sua importanza agli occhi degli interlocutori islamici.

Accosto a questo documento una testimonianza di diversa origine: la norma che, proprio in apertura del Breve dei consoli del 1162, impone loro la difesa di tutti i pisani della città e del contado, exceptis illis qui sceleratissimum et abhominabile maleficium in nave Trapilicini de Saracenis commiserunt. Una norma che ben si inquadra nella politica di rapporti il più possibile pacifici con l'Islam, almeno occidentale, di cui stiamo parlando. Essa è ripetuta anche nel Breve del 1164, con le identiche parole. Un caso, anche, che ci mostra l'utile integrazione delle notizie date dalle fonti normative con quelle delle cronache, perché i non pochi riferimenti dell'annalista pisano Maragone e degli Annales Ianuenses permettono di ricostruire la figura di questo potente corsaro (o pirata ?) pisano, poi passato, per il bando patrio, al servizio dei genovesi, cui fu non poco utile negli anni successivi a quelli in cui è ricordato nei nostri Brevi.

A conferma della continuità di una precisa linea politica può essere ricordata una sentenza dei consoli di Pisa, data nel febbraio 1185, con la quale viene stabilita la restituzione di una nave saracena e di tutti i relativi beni, nave che era stata catturata da un pisano che l'aveva poi venduta ad altro pisano; questi viene ripagato con una casa e altri beni del primo, considerato unico colpevole.

Un episodio di grande interesse e ben documentato da vari documenti avvenne nel 1200 e sul quale mi sono già soffermato in altra sede. Due navi pisane, dai nomi molto significativi (Orgogliosa e Intemerata), affiancate da due galee, commisero atti di pirateria nel porto di Tunisi, giudicati molto gravi dalle autorità doganali e statali di quella città africana. In effetti, nonostante il trattato di pace vigente, esse avrebbero assalito e depredato tre navi musulmane uccidendo uomini e facendo violenze alle donne; l'intervento degli scribi pisani ivi operanti con funzioni analoghe a quelle che aveva il padre di Fibonacci a Bugia - ottenne soltanto la restituzione dei prigionieri fatti. Allora, il governatore di Tunisi si rivalse sulle altre imbarcazioni pisane presenti nel porto, con la requisizione delle merci, in particolare di grosse partite di grano che mercanti pisani e lucchesi si preparavano ad esportare; reazione tutto sommato moderata, che però non tranquillizzò la numerosa colonia pisana, molti membri della quale preferirono lasciare la città, vedendosi posti i propri beni sotto sequestro cautelativo.Ci sono pervenute varie lettere, di diverse autorità locali e di mercanti privati, nelle quali si sollecitava il ritorno dei pisani, promettendo buona accoglienza e merci a buon prezzo, indicazione, quest'ultima, che, senza i mercanti toscani, l'offerta prevaleva sulla domanda. Di più, a conferma dell'importanza che i tunisini annettevano alla presenza pisana: avendo la flotta tunisina incontrato le navi pisane colpevoli dell'atto di pirateria, si accontentò della restituzione di un battello vuoto che esse avevano catturato, motivando tale atteggiamento con l'obbedienza agli ordini ricevuti, E' interessante anche osservare che, mentre le lettere ufficiali erano scritte in arabo e latino, per la presenza, per così dire, legalizzante degli interpreti, quelle private erano scritte soltanto in arabo, con la certezza, evidentemente, che esse sarebbero state comprese dai corrispondenti pisani.

Nonostante la concorrenza genovese e, soprattutto, catalana, la presenza pisana nel Maghreb, e specialmente a Tunisi e a Bugia, restò importante per tutto il Duecento, anche dopo la sconfitta della Meloria; i mercanti fiorentini si facevano passare per pisani onde godere delle stesse favorevoli condizioni. In Marocco i pisani erano presenti almeno dalla seconda metà del XII secolo. In Egitto da più tempo e più intensamente. Verso la metà del XII secolo, i pisani avevano fondachi ad Alessandria e al Cairo. Nel 1153 il governo fatimida, per rappresaglia contro l'attacco ad una nave egiziana, incarcerò alcuni mercanti pisani e ne confiscò i beni; il comune toscano ritenne la questione importante ed urgente tanto che non esitò a inviare, in pieno inverno, una galea con un'ambasceria la quale concluse un regolamento della situazione venutasi a creare. Nel 1173 un'ambasciata pisana concordò con il Saladino, dopo ostilità legate al sostegno navale pisano ad attacchi crociati, l'abbandono del fondaco del Cairo in cambio del ristabilimento del fondaco in Alessandria, con bagno, chiesa, uso delle proprie misure e giurisdizione particolare. E' probabile che l'anno successivo, quando Guglielmo II, re di Sicilia, attaccò Alessandria, i pisani abbiano collaborato alla difesa della città.

Come si è accennato, fu proprio dopo la disfatta di Hattin e la perdita di Gerusalemme, che le città marinare italiane ebbero i più ampi privilegi in ciò che rimaneva degli stati cristiani di Terrasanta. Fu così anche per Pisa, anche se la città aveva già avuto favorevoli condizioni. Sono del 1187 i diplomi di Raimondo II conte di Tripoli, di Corrado di Monferrato per Giaffa, per Tiro e per Acri. Fu dopo la riconquista di Acri che si sviluppò il quartiere pisano di Acri che è ulteriormente ampliatosi dopo la vittoriosa guerra là combattuta contro i genovesi è è oggi possibile visitare ed ammirare dopo i restauri condotti negli ultimi decenni.

Delle vicende alterne dei "latini" a Costantinopoli, capitale del'impero bizantino, si è detto. Va ricordato che nel 1192 venne concluso (e l'atto è in latino e in greco) un trattato di pace con l'imperatore Isacco Angelo, nel quale erano ripresi e confermati i privilegi fiscali e le concessioni territoriali a suo tempo fatti da Alessio Comneno e Manuele Comneno. Il quartiere pisano a Costantinopoli, che possedeva anche due chiese, secondo calcoli effettuati, doveva avere un'estensione di circa 23.000 metri quadrati. La popolazione è difficile da calcolare; doveva variare secondo le stagioni e gli anni. Certo è che abbiamo notizia nel 1162 di un attacco di 1.000 pisani al quartiere genovese.


4. Il carattere mediterraneo della cultura pisana

Adriano Peroni, curatore (ed anche autore del saggio interpretativo generale) di una recente monumentale opera sul Duomo di Pisa ha confermato e dimostrato che è impossibile intendere la grande ed ambiziosa cattedrale pisana è la cui costruzione prese, com'è noto, avvio nel 1064 è senza leggerla e studiarla in un contesto di ricche e varie suggestioni mediterranee. Come già aveva scritto nel 1973 il Sanpaolesi; e come aveva intuito in un libro sognante e fascinoso, nel 1938, un letterato tedesco, Rudolf Borchardt: «I quattro monumenti è egli scriveva è sono quattro incarnazioni dello spirito di Pisa e tutti volgono l'un verso l'altro i possenti volti enigmatici; e alla Toscana le spalle». E ancora insisteva sull'arte pisana come frutto di un mirabile confluire di varie forze creatrici di stili, incomprensibile senza l'intreccio di scambi di merci e i contatti umani con le più diverse genti.

Proprio ai contatti con le diverse genti i sapienti, chiamati a stendere per scritto il diritto consuetudinario pisano (prologo del Constitutum Usus, 1161) si richiamarono per spiegare l'elaborazione di questo diritto, in particolare commerciale e marittimo: propter conversationem diversarum gentium . E mediterranea era la cultura giuridica pisana del XII secolo, precoce ed in parte indipendente da quella bolognese: una cultura che aveva un simbolo materiale nel venerato codice delle Pandette, proveniente da Costantinopoli. E può trovare un personaggio simbolo, anche se non isolato, nel grande Burgundio.

Figura, quella di Burgundio, singolarmente poliedrica. Ambasciatore a Costantinopoli, a Gaeta, a Napoli, a Messina; influente ai massimi livelli del governo comunale; partecipante al concilio Lateranense III (1179); advocatus e iudex; traduttore dal greco (che conosceva perfettamente) di opere teologiche, filosofiche e mediche. A lui, che morì dopo lunga vita nel 1193, Peter Classen, medievista tedesco, dedicò, circa trent'anni fa, una solida monografia. In recentissime pagine, fresche di stampa nel momento in cui scrivo, Mauro Ronzani ha messo a fuoco il ruolo dei giurisperiti, in buon numero appartenenti alle famiglie del ceto dirigente del comune, nel difficile e complesso periodo dei mutamenti istituzionali di Pisa tra la fine del XII secolo e i primi decenni del XIII: l'epoca in cui anche Fibonacci ebbe incarichi di rilievo.

È la mediterraneità insieme occidentale, meridionale ed orientale che mi ha fatto una volta dire che Leonardo Fibonacci non poteva che essere pisano, forse solo con l'alternativa genovese: solo un Pisano poteva formarsi e perfezionarsi nei grandi spazi del Mediterraneo frequentati dalle navi e dai mercanti di Pisa.

Si rilegga il famoso prologo della prima edizione del Liber, del 1201 o 1202, in apertura del quale l'autore racconta come fosse stato chiamato, ancora puer, a Bugia, per esservi educato nelle scienze matematiche dai sapienti arabi, dal padre, che nella città africana era scrivano della dogana dei pisani, e, poi, come avesse approfondito lo studio dell'arte delle nove figure indiane (quelli che noi chiamiamo numeri arabi) e le conseguenze rivoluzionarie sull'aritmetica e sulla geometria in Egitto, Siria, Grecia, Provenza e Sicilia,loca negotiationis come egli dice.

Sono gli spazi mediterranei, maris nostris Mediterranei, che, probabilmente intorno al 1180, un anonimo pisano descriveva con sicurezza in una sorta di precoce portolano in latino, a commento di una carta marittima da lui disegnata e purtroppo non pervenutaci. Un'opera di straordinaria precocità che, pochi anni fa, uno studioso francese, Patrick Gautier Dalché, ha avuto il merito di pubblicare e commentare. Dal prologo questo Liber prapprendiamo molte cose sull'autore e sulla genesi del suo lavoro. Intanto egli sostiene di aver compiuto numerosi viaggi, dai quali afferma di aver tratto una parte delle informazioni fornite, ma di avere utilizzato come fonti anche i marinai con cui era entrato in contatto e pure fonti libresche. Inoltre, l'autore, che appare ben consapevole della novità del suo testo, racconta di essere stato indotto a scrivere l'opera da un venerabile canonico della chiesa maggiore di Pisa, anche perché le sacre scritture non offrivano una corrispondente descrizione della realtà geografica mediterranea: un lavoro difficile e lungo è insiste è oltre che nuovo, nonché aperto a correzioni ed integrazioni.

Non sfugge al Gautier Dalché l'accostamento possibile con il Liber Abaci di Leonardo Fibonacci e col suo prologo; ma, naturalmente, riconosce che non è possibile, allo stato attuale, pensare ad un'attribuzione fibonacciana, anche soltanto ipotetica. Tuttavia, l'accostamento non perde di significato, giacché dimostra la vivacità e ricchezza di un ambiente culturale in cui il Fibonacci non era certo personaggio isolato; anche questo anonimo autore è personalità di rilievo e nella sua opera, nuova nell'impostazione, si coglie lo stesso senso dei grandi spazi mediterranei che si coglie nel Liber Abaci, a cominciare dal prologo.

Sono temi che ho altrove sviluppato maggiormente. Qui mi preme soltanto aggiungere, in chiusura, che restano ancora spazi per ulteriori ricerche. Un mio giovane allievo, Michele Campopiano, sta lavorando intorno all'opera, storica e geografica, di Guido da Pisa, risalendo ai decenni precedenti. Intanto l'archeologia fa sempre maggior luce sui rapporti commerciali di Pisa nel XII secolo, e prima. Tutte le ricerche caratterizzano sempre più come mediterranea la cultura pisana, prima e durante la lunga ed operosa vita di Leonardo Pisano.